Teramo. Con le prime richieste di costituzione di parte civile ha preso il via davanti al gup Giulia Proto il procedimento a carico di 16 persone, a cominciare da Antonio Di Matteo, direttore generale di Banca Tercas (principale istituto di credito della provincia di Teramo) dal 2005 al 2011, accusato dai pm Maria Francesca Loy e Giuseppe Cascini di avere utilizzato, approfittando della sua posizione di vertice, il patrimonio e le potenzialità finanziarie dell’istituto di credito teramano (cosiddetta ‘banca parallela’) ad esclusivo vantaggio proprio e di alcuni imprenditori amici, tra i quali Francescantonio Di Stefano, Raffaele Di Mario, Gianpiero Samorì, Antonio Sarni e Vittorio Casale.
Oltre alla Banca d’Italia, hanno chiesto di essere presenti come parti danneggiate una risparmiatrice, che aveva comprato 45mila euro di azioni Tercas, ormai diventate carta straccia, e la Bper (Banca Popolare dell’Emilia Romagna). Quest’ultima, in particolare, facendo parte del Fondo interbancario di tutela dei depositi (fondo di garanzia che solitamente interviene quando, a tutela dei depositanti, una banca ha problemi di liquidità o deve affrontare casi di temporanea insolvenza e fallimento), ha lamentato un danno pari a 266 milioni di euro serviti per risanare Veneto Banca più altri 65 milioni dati dal Fondo in garanzia nell’operazione che ha consentito alla Popolare di Bari di assumere il pieno ed effettivo controllo di Banca Tercas e della sua controllata Banca Caripe nell’ottobre del 2014.
Sulle richieste di costituzione di parte civile, avanzate anche da Fondazione Tercas e Banca Tercas, il giudice dirà la sua nell’udienza del 13 maggio prossimo ma non e’ escluso che altri risparmiatori e, soprattutto, altre banche che fanno parte del FITD possano farsi avanti. Associazione per delinquere aggravata dalla transnazionalità, ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d’Italia, appropriazione indebita, bancarotta fraudolenta della società Gepafim Holding e riciclaggio sono i reati contestati, a seconda delle singole posizioni, dalla procura.
Le indagini sulla Cassa di Risparmio di Teramo erano partite nella capitale perché a Roma erano stati avviati i procedimenti legati al fallimento del gruppo Dimafin di Di Mario e perché è romana la competenza a indagare sul reato di ostacolo all’attività di vigilanza di Bankitalia. L’ipotesi accusatoria e’ che un gruppo di imprenditori indagati abbia ottenuto “ingenti finanziamenti con modalita’ non rispettose dei protocolli istruttori adottati dalla Banca nei confronti di tutti gli altri clienti e che, oggi, all’esito del commissariamento, sono stati qualificati tutti come crediti di difficile recupero (ovvero ‘ad incaglio e/o sofferenza’) per un importo complessivo di 200 milioni di euro”.