E’ arrivata la sentenza per il gravissimo episodio accaduto nel gennaio scorso a Pescara dopo una lite scoppiata per un materasso abbandonato vicino al portone d’entrata dove abitavano i due uomini
Era il 4 gennaio scorso e la città si era svegliata con la notizia scioccante di un uomo trovato morto in un lago di sangue nella centrale via Gran Sasso. L’ennesimo tragico evento, l’ennesima lite di strada finita a coltellate e anche questa volta per futili motivi, una lite condominiale per via di un materasso da smaltire che era stato abbandonato in strada, ma nei pressi del civico dove i due uomini vivevano. In questi mesi le indagini da parte degli inquirenti sono andate avanti, un uomo era stato arrestato e ora è arrivata la sentenza del tribunale.

Purtroppo a Pescara, così come in altre città della regione abruzzese, la microcriminalità soprattutto tra stranieri sta arrecando sempre più problemi e le forze dell’ordine ordine riescono con difficoltà a gestirla. Sempre più spesso infatti si verificano risse che finiscono con l’utilizzo di coltelli tra giovani nordafricani per questioni di gestione del territorio o dopo nottate brave.
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Un materasso di troppo
Tutto era accaduto troppo in fretta. Una discussione per futili motivi o meglio per alcuni mobili lasciati in strada che era costata la vita a Afsal Hossain Khokan, un 44enne bengalese, in attesa di completare il trasloco nella nuova casa di via Gran Sasso a Pescara. Un materasso e un mobiletto, questi gli oggetti che avevano evidentemente dato troppo fastidio a un uomo di origine marocchine, Brahim Dahbi, 63 anni, che viveva nello stesso stabile, e fatto degenerare così la violenta lite finita a coltellate. Lasciato in strada, Asaf era stato ricoverato immediatamente all’ospedale di Pescara, morendo però qualche ora dopo e lasciando nel suo paese una moglie e cinque figlie.

L’ennesimo gravissimo fatto di sangue accaduto nelle strade del capoluogo abruzzese che aveva sconvolto i residenti della zona. La Polizia aveva immediatamente fatto scattare le indagini e attraverso anche le varie testimonianze raccolte sul posto le forze dell’ordine erano immediatamente risalite all’autore materiale dell’efferato omicidio grazie a delle inequivocabili macchie di sangue trovate su alcuni vestiti del cittadino marocchino.
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L’esito del processo
Dopo che il pubblico ministero aveva concluso la sua requisitoria chiedendo una condanna a 16 anni di reclusione, con la riduzione di un terzo prevista in queste occasioni per un omicidio senza aggravanti, ieri il tribunale di Pescara ha emesso la sentenza nei confronti di Brahim Dahbi, riconosciuto unico colpevole della morte di Afsal Hossain Khokan. Il marocchino è stato condannato a 14 anni e 4 mesi di reclusione oltre al risarcimento danni, che verranno però decisi in sede civile, a favore dei familiari della vittima, ai quali andrà comunque una provvisionale di 185mila euro complessivi.

Una sentenza dura quella presa dal giudice che non ha tenuto conto della requisitoria dell’avvocato del condannato, che aveva cercato di contenere la pena, sostenendo un eccesso colposo di legittima difesa. Il marocchino, in sostanza, secondo la difesa, si stava difendendo dall’aggressione dei bengalesi che non lo volevano più come condomino.





