Sulla banchina nord ci sono i 56 armatori e i 160 pescatori, che forse dal 6 maggio potranno tornare in mare dopo un anno di secca forzata. Su quella sud, invece, le cose vanno addirittura peggio. Oltre alla marineria, il mancato dragaggio del porto di Pescara ha mietuto un’altra vittima: il comparto commerciale, una decina di aziende prossime al fallimento per colpa di una darsena divenuto non operativa già dal 2010.
Di Properzio-Abruzzo costiero, Servimar, Cantiere Alaggio, Impresa portuale, Compagnia portuale, Del Nunzio, San.Mar, Archibugi-Ranalli, Cooperativa Sciarra, Pescara Fuel, Gesmar, Iacovone, Costagliola, Servizio Ormeggiatori: questi i nomi da iscrivere tra i caduti a causa della “negligenza amministrativa”, come l’hanno definita i dipendenti di queste ditte che stamattina si sono riuniti nella stazione marittima per lanciare ad una sola voce l’allarme: “Da lunedì siamo in mezzo ad una strada”. Oltre all’ittica, il porto di Pescara godeva di un certo fermento anche grazie alla sua declinazione turistica e commerciale: agenzie di navigazione, ormeggiatori e rimorchiatori, spedizionieri, scaricatori. Sotto lo sguardo della Madonnina passavano petroliere e cargo pieni di ferro, oltre che i turisti da a per la Croazia sulle rotte turistiche della Snav e della Jadrolinija. I picchi del 2008 hanno fatto registrare 120mila passeggeri, 350mila metri cubi di gasolio e 250mila tonnellate di materiale siderurgico. Imbarcazioni di grossa stazza che innescavano un micro-sistema di attività: rifornimento, servizi antincendio e antinquinamento, manovratori, biglietterie, bolli doganali e tante altre ancora. Aziende floride, dalla più grande alla più piccola unipersonale: “Io fatturavo 80mila euro l’anno”, racconta Leonardo Costagliola, l’ormai ex pilota del porto, ormai costretto a migrare di porto in porto per poter lavorare. Decine di ditte che contavano 50 dipendenti e fornivano clientela all’indotto alberghiero.
Dal 2010 il lento e inesorabile declino dovuto all’insabbiamento della darsena: divenne impossibile per l’aliscafo della Snav attraccare a Pescara, quindi è passata prima al porto di Ortona e poi ha abbandonato la costa abruzzese. Intanto il dragaggio non è partito, e da febbraio 2011 anche le navi commerciali sono rimaste fuori dalla diga foranea. La stazione marittima è diventata un deserto, chi aveva investito in attrezzature ora ha appeso i cartelli ‘Vendesi’, e gli imprenditori hanno dovuto guardare negli occhi i propri dipendenti e confessare di non poterli più pagare. Sono 15 quelli licenziati, altri 30 sono passati sotto il giogo degli ammortizzatori sociali: un finto rimedio che nell’Italia in crisi trova difficilmente copertura finanziaria. “La mia azienda ha ricevuto i fondi del 2012”, spiega un rappresentante dell’agenzia marittima San.Mar, “il 2011 l’hanno pagato a metà e per il 2013 non si sa come andrà a finire”. I titolari delle ditte hanno concertato hanno concertato con la Regione e i sindacati un accordo per la cassa integrazione, ma questo scade domenica 28 aprile, quindi da lunedì prossimo operai e addetti amministrativi saranno senza alcuna copertura. Per non parlare di chi la Cig l’ha avuta solo per i primi mesi, e da due anni risulta assunto ma senza retribuzione.
Chi in passato ha investito milioni e in due anni di stop forzato ha dato fondo ad ogni risorsa per non fallire, ormai è allo stremo, di fronte a prospettive future più fosche del fondale insabbiato: “A questo punto evitino qualsiasi intervento inutile, così togliamo il disturbo e non facciamo spendere soldi alla collettività”. L’inutilità di cui parla Gianni Leardi, uno dei soci della SanMar, è riferita al dragaggio da 200mila metri cubi che il Provveditorato alle opere pubbliche ha appaltato alla ditta Sidra. Anche qui, mesi di ritardi e rinvii e alla fine la darsena commerciale verrà riportata ad un’altezza di 5 metri: “Le analisi sono state effettuate fino a 5 metri di profondità e su un’area larga 140 metri”, sostiene Alessandro D’Emilio, spedizioniere che via e-mail si è tenuto costantemente in comunicazione con il sottosegretario ai Trasporti Guido Improta, “ma alle navi servono almeno 7 metri di profondità e 250 metri per manovrare in sicurezza. Questi lavori non serviranno a niente”. Le risposte istituzionali, vaghe di per sé, si macchiano di ulteriore incertezza per ciò che riguarda i tempi di esecuzione. Se i lavori nel porto canale potranno continuare anche in estate, quelli nella darsena, punto più esposto alle correnti del mare aperto, potrebbero subire un nuovo stop con l’inizio della stagione balneare. Dalla Regione è arrivata la ventilata ipotesi di una modifica all’ordinanza per la balneazione che consentirebbe la prosecuzione, ma fin quando non c’è l’ufficialità rimane il rischio che dal 31 maggio le piccole benne dei motopontoni Fioravante e Cobra dovranno lasciare intonso l’avamporto: “Potranno riprendere solo a settembre”, incalza con rabbia Leardi, “e a quel punto la sabbia e il fango saranno aumentati vanificando ogni intervento e noi non avremo più un lavoro”. Rischio nel rischio, anche ad essere ottimisti: “Improta mi ha scritto che porteranno il fondale a 6,5 metri”, rifersisce ancora D’Emilio, “ma se per questo incremento dei lavori bisognerà fare nuove analisi dove andremo a finire con i tempi?”.
AZIENDA | POSTI PERSI | IN CASSA INTEGRAZIONE |
Di Properzio-Abruzzo Costiero | 2 | 4 |
Servimar | 4 | 10 |
Cantiere Alaggio | 3 | |
Impresa Portuale | 4 | |
Compagnia Portuale | 2 | 3 |
Distributore gasolio | 1 | 1 |
Agenzia doganale Del Nunzio | 2 | |
Agenzia marittima San.Mar. | 3 | |
Archibugi-Ranalli | 1 | 1 |
Cooperativa Sciarra | 1 | 2 |
Pescara Fuel | 1 | |
Compagnia Ormeggiatori | 2 | |
Pilotaggio Costagliola | 1 |
Daniele Galli