Clemente De Caesaris, Carbonaro di Penne imprigionato dai Borboni nella fortezza di Pescara e liberato per ordine di Garibaldi in persona doveva avere il carattere strabordante impeto tipico di ogni patriota che si rispetti. Alla sua figura, e a quanto pare soprattutto al suo animo, si è ispirato Alessandro D’Emilio, giovane artista pescarese che ne ha realizzato un busto, donando l’opera alla città. L’inaugurazione era stata allestita questa mattina in via delle Caserme, di fronte al cortile di casa D’Annunzio; stampa pronta e, in rappresentanza delle autorità cittadine, il consigliere delegato al Patrimonio storico Licio Di Biase. D’Emilio, in pullover garibaldino, e il suo staff avevano preparato addirittura un proiettore e quanto occorreva per collegarsi in videoconferenza con alcune capitali internazionali e proseguire per l’intera giornata con una festa cultural-popolare. Ma al Comune non è stata inviata nessuna comunicazione, fanno sapere dal Municipio: “Avremmo fornito gratuitamente la corrente elettrica”, fa sapere l’ufficio stampa del sindaco.
Senza corrente, a prendere la scossa sono i nervi di D’Emilio, che in uno slancio di rabbia prende a strappare l’incarto che avvolge il piedistallo montato sui gradini del Caffè Letterario dando il via ad una ‘autoinaugurazione’ di protesta. Nonostante i tentativi delle collaboratrici per limitare la brutta figura dinanzi ai media, lo scultore si fa prestare tutto il fervore dal De Caesaris e comincia a sbraitare: “L’ho fatto io e l’inauguro io”, per poi inveire con epiteti nostrani contro il Comune, che “in un mese non è stato capace di mettere un manifesto per l’iniziativa” e il povero Di Biase. Il teatrino che ne scaturisce ha divertito per alcuni minuti il capannello di presenti assiepato sul viale di marmo del centro storico, concludendosi con l’abbraccio tra il combattivo D’Emilio, minaccioso contro la città ingrata, e la statua dell’affine De Caesaris: “Va bene cuscì Clemè, contro tutto e tutti, non ti preoccupà, ce li magnem a quiss’: perché noi vogliamo l’Italia onesta, non quella dei ruffiani e dei ladri, la cambieremo” promette all’immobile busto, salutandolo con una pacca sulla bronzea pelata, prima di allontanarsi con il tricolore tra le mani.
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Daniele Galli