Pescara. Stato, doppio Stato o anti-Stato? Una divisione tripolare dell’ordinamento istituzionale italiano, inteso nella sua forma pura e in quella a due facce, quella apertamente cattiva e quella collusa con la mafia, il principale male italiano. A discuterne, questa mattina durante un convegno organizzato nell’ateneo pescarese, sono stati il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, e Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso nella strage mafiosa di via d’Amelio. Alla platea di studenti ha detto: “Vi do la mia rabbia e la mia motivazione, voi datemi la speranza per continuare a combattere e a vivere in questo Paese”.
Dopo la mostra Civil_Art, che per tutto il mese di settembre ha mostrato nei corridoi della Facoltà di Architettura dell’Università d’Annunzio l’impegno civile interpretato da 40 giovani artisti, l’associazione studentesca UniOn_Espressione Libre ha ospitato, questa mattina, Salvatore Borsellino a tenere per gli studenti e per tutti i giovani pescaresi il convegno Stato-Doppio Stato-Antistato. Il fratello del magistrato che con Giovanni Falcone ha scritto la pagina più importante per la lotta alla mafia, uniti nello stesso tragico destino, ha riflettuto di fronte al giovane pubblico sul modo in cui le tre dimensioni del panorama istituzionale italiano si intrecciano tra loro e su come la società civile subisca questa mescolanza, pagandone troppe volte le conseguenze. Conseguenze altamente negative, che si traducono nella mancata tutela dei diritti civili e sociali propri di ogni individuo. Uno Stato inteso come ordinamento giuridico sovrapposto al potere parallelo che alle volte lo affianca o con il quale arriva a fino a divenire quella materia nera che si istituisce formalmente un ordinamento antagonista nella gestione di parte del territorio. Inevitabile, per il capofila del movimento delle Agende rosse, non incentrare il proprio intervento sulla figura del fratello Paolo: “Un servitore dello Stato che lottava contro l’anti-Stato, e ucciso nel massacro di Stato di via D’Amelio”, l’ha definito. Salvatore: stessi occhi del fratello, stesso sguardo perso in avanti, verso un sogno che sembra irraggiungibile, posto alla fine di un tunnel costruito con le macerie delle strade di Palermo e Capaci, fatte saltare in aria da chili e chili di tritolo. Un ometto di 69 anni, piccolo di stazza ma dal cuore ancora gonfio di dolore e pulsante rabbia e indignazione, non solo per la perdita fraterna ma per il colpo di spugna dato da un sistema enigmatico ad una lista di responsabili racchiusa in quell’agenda rossa che scomparve dalle mani del Dottore Borsellino quel 19 luglio 1992. Quell’Agenda Rossa divenuta principale motore dell’azione di Salvatore, che ha foderato di rosso anche l’I-pad sul quale tiene appuntati i punti del suo intervento.
Ma nonostante una vita profusa totalmente nell’impegno civile, un contributo vitale per la coscienza, soprattutto giovanile, dell’Italia, Paolo Borsellino resta una persona profondamente umile, che abbandona la sedia compresa tra il preside Alberto Clementi e il vice presidente del Consiglio comunale, Fausto Di Nisio, per accovacciarsi sui gradini dell’aula magna (Rossa pure questa) e vedere un breve filmato dedicato a Salvatore seduto tra i ragazzi, rifiutando persino il posto in poltrona che gli viene offerto da uno studente riverente. Umile e immolato al cognome che porta, inciso sulla pelle scomparsa di quell’agenda, evocata a simbolo dall’omonimo libro che Paolo porta in giro per l’Italia da anni, lo stesso che alza in aria, anziché alzarsi cerimoniosamente in piedi, quando Antonio Mancini, portavoce dell’associazione studentesca, lo presenta ufficialmente alla platea. Campeggia ovunque il viso del magistrato, negli striscioni appesi alle pareti dell’aula, sul maxi schermo alle spalle degli ospiti e nella memoria del fratello, una memoria indignata: “Lo hanno ucciso perché quando aveva in mano, grazie al lavoro fatto con Falcone per mettere in galera tutta la cupola della mafia, l’opportunità di dare il colpo di grazia all’anti-Stato, lo Stato ha instaurato la trattativa con l’anti-Stato: mio fratello si è opposto a questa trattativa e gli è costato la vita”. Indignazione perdurata per 19 anni, che si ripercuote in lotta “a quella parte di istituzioni intrecciata con l’anti-Stato che piange durante le commemorazioni in via D’Amelio, ma ha contribuito come parte attiva alla strage e poi ha condotto il depistaggio all’individuazione dei responsabili”.
Salvatore Borsellino racconta di aver perso, negli anni, la speranza contagiatagli da Paolo, “perché dal ’92 l’Italia è sempre più sprofondata nel baratro; poi ho ricominciato a parlare per rabbia, grazie ai giovani che mi hanno ridato la speranza, per ridare a loro la possibilità di avere giustizia e verità, per farli vivere in un Paese diverso da quelli sepolto dalle macerie che gli stiamo consegnando”. È stato, dunque, uno scambio quello andato in scena oggi alla d’Annunzio tra Salvatore Borsellino e i giovani presenti: “Io vi do la mia rabbia e la mia motivazione, voi datemi la speranza per continuare a combattere e a vivere in questo Paese”. Ma Borsellino ha lasciato, anche qui, un pesantissimo sassolino dell’insegnamento del magistrato, “quello più grande, contenuto nell’ultima lettera che Paolo ha scritto, quando già sapeva di dover morire, avendo già saputo del grande carico di esplosivo giunto a Palermo: sono ottimista perché vedo che verso di essa (la mafia Ndr.) i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quarant’anni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta”.
Ma la lotta alla mafia e all’anti-Stato è, inevitabilmente, fatta anche dell’odierna collusione con la politica, giammai tralasciata da Salvatore Borsellino, che sul dibattito attuale circa la legge sulle intercettazioni ha commentato: “Se oggi, da una parte la mafia acquista sempre nuovi meccanismi, uno Stato imbelle taglia i mezzi alla Magistratura per condurre la lotta alla mafia. Definisce, poi, “l’ennesimo episodio vergognoso” il voto espresso dalla Camera per negare alla Magistratura l’autorizzazione a procedere contro il ministro dell’Agricoltura, Saverio Romano: “Ma il problema è a monte”, dice Borsellino, “quando una persona già inquisita per concorso esterno in associazione mafiosa, uno dei reati più gravi, viene fatto ministro della Repubblica: è qui che lo Stato si allea all’anti-Stato. D’altronde, molti anni prima, è stato permesso ad Andreotti, uomo prescritto per lo stesso reato, di divenire Senatore a vita e di concorrere alla Presidenza della Repubblica”. Uno Stato appartenente ad un “Paese divenuto la barzelletta del mondo, dove i ministri vengono nominati per le proprie attitudini sessuali e il ministro dell’Istruzione crede che esiste un tunnel sotterraneo tra il Gran Sasso e Ginevra”. A questa “barzelletta” e “quel ministro (Umberto Bossi Ndr.) che il 25 settembre scorso ha definito somaro chiunque esponga il tricolore”, rispondono Antonio Mancini e i tanti tricolori appesi ai muri e tra le giovani mani: “Qui siamo tutti somari”.
L’Appello di Salvatore Borsellino cantato da Daniele Silvestri: guarda il video
Daniele Galli