Pescara, tangenti per sperimentazione farmaci: Università presenta esposto in Procura

cesiPescara. Una tangente da 92mila euro in cambio dell’autorizzazione alla commercializzazione di un farmaco. Tanto avrebbe pagato il titolare di un’azienda di distribuzione farmaceutica al Cesi, l’istituto di ricerca scientifica dell’Università D’Annunzio, seconda quanto riportato sul quotidiano La Repubblica da Giuseppe Caporale.

A denunciare l’episodio sono stati proprio i vertici dell’ateneo pescarese, il rettore Franco Cuccurullo e il direttore generale Marco Napoleone, che hanno presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Chieti. “L’imprenditore” si legge nell’esposto “si è presentato dieci giorni fa all’università e davanti a noi ha raccontato di aver pagato 92 mila euro di soldi in nero per la sperimentazione di un farmaco. Un racconto dettagliato dove ha precisato anche i nomi delle persone ha cui avrebbe versato i soldi in contanti”. I tre ricercatori, come racconta ancora Caporale, avrebbero ricevuto rispettivamente tangenti da 50, 25 e 17 mila euro, a seconda del ruolo rivestito all’interno dell’istituto.

Tuttavia, le tangenti non sono servite a molto, visto che il farmaco sarebbe stato bocciato dall’Aifa, l’agenzia italiana per il farmaco. “L’imprenditore” a quel punto “ha preteso la restituzione del denaro, che poco dopo avrebbe ricevuto indietro solo in parte. A me e al rettore ha chiesto un risarcimento di 150 mila euro per il danno arrecatogli. Davanti alle obiezioni da parte del rettore, l’imprenditore avrebbe risposto che quello delle tangenti era a suo avviso un sistema dentro l’università e dentro la fondazione dell’ateneo. A quel punto ho inviato l’imprenditore a denunciare il fatto alla Procura, ma la sua risposta è stata che con la denuncia non avrebbe certo ottenuto i fondi. La sensazione è stata come se volesse da noi i soldi persi”.

L’uomo, comunque, non è nuovo a fatti di questo genere. Nel 2008, ricorda ancora La Repubblica, è stato coinvolto in una vicenda di sesso e soldi in cambio di ricette false. In cambio dell’aiuto, a medici e farmacisti andava un compenso dal 5 al 10% del prezzo del farmaco oppure le prestazioni di una prostituta. Una decina le ragazze italiane e colombiane coinvolte che incontravano i clienti in tre alberghi, tra L’Aquila, a Cagliari e a Napoli.

 

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