Più che l’illustrazione di un operazione di polizia sembra la stesura di una sceneggiatura. Sono stati il capo della Squadra mobile Pierfrancesco Muriana, il sostituto commissario del Reparto antirapina Mauro Sablone e l’ispettore superiore Nicola Sciolè della narcotici a raccontare tre anni di indagine, conclusasi questa mattina sotto la direzione del Pubblico Ministero pescarese, Barbara Del Bono. Un’operazione che ha impegnato più di 200 agenti nelle diverse città coinvolte, con la collaborazione del Reparto Mobile di Senigallia e del Servizio centrale operativo di Roma, portando il Gip del Tribunale di Pescara, Guido Campli, ad emettere 38 misure cautelari in carcere in corso di esecuzione in otto diverse province (Pescara, Chieti, Teramo, Campobasso, Macerata, Taranto, Napoli e Bergamo); ma sono ben 92 gli indagati complessivi e ammonta a 37 chili tra eroina e cocaina il materiale rinvenuto dalle unità cinofile e sequestrato durante i vari interventi.
Ben 650 pagine redatte dall’ispettore Sciolè per l’informativa finale dell’indagine: gli sono serviti vari mesi solo per scriverla tanti sono i dettagli. Particolari che non hanno nulla da invidiare ad un “romanzo criminale”. Clan di vario genere, connessioni con omicidi, transessuali, rom locali, il filone napoletano, il traffico internazionale, il laboratorio nascosto in un condominio, inseguimenti, speronamenti, intercettazioni telefoniche, linguaggi in codice, soprannomi, latitanti, criminali che gestiscono gli affari dal carcere in Albania. E ancora mamme, fratelli, cognati, figli, amanti e chi più ne ha più ne metta; ovviamente i soliti noti, specialmente per i pescaresi. E in mezzo la droga, tanta droga, tutta Pescara, che acquista, operazione dopo operazione, sempre fama di piazza di pregio. Dettagli che si inseguono e si snocciolano come un rosario, protagonista dopo protagonista e fanno risalire al collegamento di 5 clan. La prima pagina si apre con le indagini relative all’omicidio, tuttora irrisolto, di Emanuela Di Cesare, transessuale ucciso a Pescara il 22 aprile 2007; figura nota dell’ambiente trans pescarese è Massimo Giocondi, non implicato nell’omicidio ma si scopre essere abituale pusher del giro. Parte da qui l’intera Operazione Cormorano, che si intreccia ulteriormente con vari episodi di cronaca avvenuti nel capoluogo adriatico negli ultimi 36 mesi.
La cocaina di Giocondi proviene, infatti, dal clan di Napoli. Giovanni Cozzolino né è il capo, quarantottenne, detto Giannino, o “Amore mio”, o anche Pony, superando appena il metro e 55. Cozzolino, vero e proprio boss, veniva avvistato, già dalla fine del 2006, riunirsi almeno una volta a settimana insieme ai suoi fedeli nel piazzale del centro commerciale Cormorano di Montesilvano (da qui il nome dell’operazione). Con lui operavano la moglie, Brigida De Rosa, i cognati Massimo e “Rosetta” Ciotola e Federico Cortopasso. Corrieri del clan erano Antonio Sagliocco e Pietro Della Sciucca, quest’ultimo detto “O’ ragioniere”, montesilvanese che manteneva anche la cassa al boss Cozzolino, che mai si sarebbe fatto trovare in possesso di danaro utile da reinvestire in nuovi traffici. Convivente del “ragioniere” era Raffaella Vitelli, incaricata di “bonificare” le uscite dell’autostrada, cioè di verificare per il suo compagno in viaggio da Napoli che non vi fossero posti di blocco. “Vai a prendere la bicicletta”, le diceva in codice il corriere, “Tutto bene amore, adesso puoi uscire”, si sentiva nelle intercettazioni rispondere la Vitelli. Acquirenti e piccoli “galoppini” locali del clan campano erano, oltre al Giocondi, la pescarese Elisabetta Pavone, il chietino Manolo Palmerini e due pizzaioli di Martinsicuro, Gennaro Mango ed Egidio Padulano, che operavano nel nord della regione e verso le Marche,facendo base nella cittadina sempre più nota per fatti di droga e prostituzione. Fu Cozzolino a portare avanti gli affari nel primo periodo, fino a quando non rimase coinvolto in un incidente stradale nei pressi del casello di Caserta Nord, nel corso di un “viaggio di lavoro”: lui rimase gravemente ferito, mentre il corriere al suo fianco perse la vita. Furono, allora, i familiari a proseguire il traffico durante la convalescenza, e a riempire il “frigorifero vuoto” della vedova, come compete ad ogni clan criminale che si rispetti.
La droga dei napoletani veniva acquistata e smerciata sulla costa pescarese da due gruppi locali. Il primo è di natura rom, comandata da Claudio Spinelli, detto Lallone o “P38” (pistola fedele alle Brigate Rosse negli anni di piombo), quarantaseienne parente diretto del più giovane omonimo autore dell’aggressione di piazza Unione, che mandò in coma lo studente pugliese Luciano Zerrilli per futili motivi nel marzo 2010. Stretti collaboratori di Lallone erano il romano Luca Sanna e Raffaele D’Incecco. A condividersi il livello successivo del gruppo, oltre che i rapporti personali, c’erano la moglie Giovina De Rosa e la convivente foggiana Anna Bianchi; per conto della Bianchi spacciava il conterraneo Tommaso Cagnetta, mentre per conto di Sanna c’era smerciavano il cognato atriano Ivano Matticolo e Fabrizio Casalanguida nei confronti del quale è stato operato nelle ultime ore il sequestro di 173 grammi di cocaina. La figlia del D’Incecco, Stefania, è invece accusata di aver nascosto stupefacenti per conto del padre.
Il secondo, più ristretto ma più “pesante”, era guidato dal pluripregiudicato Claudio Di Risio, direttamente implicato nei crimini della celebre banda Battistini, che negli anni ’80 terrorizzò Pescara. Era il fratello, Eugenio, a mantenere i contatti con i napoletani, mentre Claudio e il compare “Italuccio” Gaspari erano impegnati a contendersi il predominio dello spaccio cittadino, anche attraverso gli avvisi dinamitardi che nel luglio 2007 fecero esplodere varie automobili nel quaritere di Rancitelli. Pertanto le indagini avevano modo di approfondire anche questi secondo e terzo gruppo di persone che si approvvigionavano di stupefacente per poi rivenderlo in Pescara e provincia, ma anche nel più vasto territorio regionale abruzzese e nelle regioni limitrofe, con coinvolgimento di un gran numero di soggetti nel corso delle attività d’indagini, volta per volta, poi, identificati.
Il blocco di un corriere napoletano operato dalla polizia il 7 luglio 2007 portò i due capi Spinelli e Di Risio a rivolgersi ad altre fonti, facendo partire il filone albanese. Il boss in questo caso è il giovane Endrit Dokle, detto Titi o Diti. Clamorosamente, Titi gestiva lo scacchiere internazionale direttamente dalla cella del carcere in cui era detenuto, grazie a numerose conversazioni al cellulare. Abili, gli albanesi, a cambiare spesso sim e apparecchi utilizzati, costringendo gli inquirenti ad intercettare ben 188 linee telefoniche. La giovane età del Dokle e la libertà di azione nell’istituto di pena lascia pensare a figure di spicco della criminalità albanese agenti alle sue spalle, tant’è che ad ora risulta essere uno dei due latitanti sfuggiti agli artigli del Cormorano. Un’organizzazione che lo avrebbe dotato di due tuttofare “puliti”, incensurati: Fisnik Meca, detto Niko, e Fatmir Geca, detto Miri, Mario da quando agiva in Italia, tra il bergamasco e il senese, preferendo Imola come base fissa, insieme al fratello Elton, detto Tony. Basisti pescaresi Rejnald e Roxhen Velja, mentre Ylli Daja era il corriere per le Marche, arrestato l’8 ottobre 2007 con 3,5 chili di eroina addosso. Proficuo e ramificato il traffico albanese, che dall’est approdava nel nord Italia per poi scendere, per vie preferenziali, direttamente all’ambita Pescara; nelle intercettazioni, oltre alle curiose “macchine parcheggiate in salotto”, gli agenti hanno sentito gli albanesi chiedere ai propri capi di poter spostare la base da Imola più al sud, tant’era l’attività connessa al capoluogo adriatico abruzzese. Da questo si rifornivano, infatti, altre famiglie rom che spiccano nello spaccio pescarese: i soliti noti Gargivolo, Di Rocco e Insolia. Il passaggio avviene tramite Claudio Spinelli, che dopo alcune forniture non pagategli da Luca Gargivolo, residente a Nocciano e quindi fornitore dell’entroterra della provincia, lo “gira” direttamente a Geca e Meca. Ma il 10 maggio 2008 viene arrestato, insieme al factotum di Lettomanoppello (Pe) con 5 kg di eroine, che verranno poi ricondotti al sequestro che la polizia compie il 3 giugno in un “laboratorio” albanese di eroina a Viadana, in provincia di Mantova: un garage con diretto accesso ad un condomino dove vengono rinvenuti presse, stampi, bilancini, ed ingenti quantità di paracetamolo, polvere usata come principio attivo per la Tachipirina, oltre che materiale da taglio preferito nel confezionamento dell’eroina per il sapore e il colore molto somigliante. A proseguire il lavoro della famiglia Gargivola ci penserà il fratello Enzo, appena uscito dal carcere per altri reati, unitamente alla madre, Giuseppina Insolia.
Infine, sempre nell’ambiente rom, a fornirsi dall’Albania era anche Guerino Di Rocco, detto Rino o “il cieco”, il quale acquistava anche da un altro albanese, Vladimir Koka, detto Vladi. Questi, a gennaio 2008 avrebbe portato in città ben 54 kg di “roba”. La polizia andò vicinissima al sequestro dei primi 29, mentre il 29 gennaio riuscì a bloccare i secondi 24 in una rocambolesca operazione svoltasi di fronte al supermercato Auchan, accanto all’aeroporto: gli agenti appostati notarono Rino Di Rocco prelevare sospettosamente la macchina “cargo” parcheggiata, con la quale si dette alla fuga dopo essere stato raggiunto dagli agenti e provò a speronare le volanti che lo inseguivano, prima di essere bloccato in flagranza. Fitta ed estesa, quindi, la trama dell’operazione. Non poche le difficoltà riscontrate dagli uomini di Sciolè nel tessere le connessioni tra i clan, con il Cozzolino che riforniva il Di Risio e lo Spinelli di cocaina e acquistava dal Dokle l’eroina, che riforniva tutti gli altri, tranne Koka che trafficava unicamente con Di Rocco. Determinane anche la collaborazione tra i vari nuclei operanti sul territorio nazionale per acciuffare i criminali fuggiti in lungo e in largo; basti pensare che dal filone lombardo si è sceso fino a Taranto per arrestare la coppia Vitelli-Della Sciucca. Al momento risultano latitanti Endrit Dokle e Vladimir Koka, attivamente ricercati sia in Italia che all’estero.
I 37 kg di eroina e cocaina sequestrati, una volta immessi sul mercato, avrebbe fruttato quasi 3 milioni di euro. Notevole importanza hanno rivestito nell’indagine le operazioni di intercettazione che, seppur basate su discorsi criptici ed espressioni convenzionali tese a mascherare gli illeciti, hanno comunque permesso l’arresto in flagranza di circa 15 persone tra corrieri e depositari di stupefacenti. Da rilevare l’estrema pericolosità sociale evidenziata da alcuni degli indagati che, oltre ad annoverare numerosi precedenti penali, avevano nella loro disponibilità armi ed esplosivo, circostanze che rendono evidenti i pericoli che sono stati corsi e i rischi che sono stati affrontati da parte degli operatori che hanno condotto le indagini e che sono stati impegnati negli arresti e nei servizi di pedinamento e osservazione, svoltisi spesso in orari notturni ed in zone ad alta densità criminale.
Questi, in elenco, gli arresti e i sequestri effettuati nei tre anni di “realtà criminale”, che ha portato all’arresto di 38 e a indagare su ben 92 persone.
Elenco dei soggetti destinatari di misura cautelare:
Nel corso della perquisizione effettuata a carico di CASALANGUIDA Fabrizio sono stati sequestrati 173 grammi di cocaina.
Durante le indagini sono stati effettuati i seguenti arresti in flagranza di reato:
Le foto dei destinatari degli arresti e del laboratorio di eroina sequestrato
{webgallery}stories/media2010/pescara/OperazioneCormorano{/webgallery}
Il video degli arresti all’alba di questa mattina
Daniele Galli