Roma. Alla mafia cinese non basta più importare e rivendere merce contraffatta, mette le mani sul grosso giro della prostituzione.
La squadra mobile di Roma, dopo un anno di indagini sullo sfruttamento della prostituzione di ragazze cinesi, conclude con il botto: arrestati 11 cinesi, 7 uomini e 4 donne.
In via Gregorio XXII, a Roma, i condomini non sopportavano più quel via vai continuo di gente, nella palazzina a tutte le ore vi era un sali-scendi incessante. Grazie alle numerose segnalazioni gli investigatori hanno scoperto che l’appartamento era un covo di prostitute cinesi. Ma l’indagine, coordinata dal PM della procura di Roma Laura Condemi, non si è fermata lì: dai successivi accertamenti è venuto alla luce che gli appartamenti affittati in tutta Italia utilizzando un’identità cinese fittizia erano ben 25. Solo nella capitale 11 sequestri. In tutta Italia, tra Modena, Bergamo, Milano, Pescara, Venezia, Taranto e Treviso i militari hanno scovato altri 14 appartamenti tutti coperture di un giro di prostituzione che arrivava da lontano.
Alle spalle una vera e propria organizzazione che si preoccupava di pubblicizzare la prostituzione su quotidiani locali e volantini in cinese con scritte allettanti, distribuiti tra la comunità. A chi il meccanismo non fosse apparso chiaro poteva ovviare contattando il call center istituito appositamente per ulteriori informazioni: tariffe, servizi offerti e indirizzi esatti.
Vittorio Rizzi, capo della squadra mobile di Roma, parla dell’operazione non più come un’attività sporadica fine a se stessa, ma come una vera e propria impresa del sesso.
Le prostitute, venivano arruolate direttamente in Cina, mostrando ampi consensi per la redditizia attività: tenevano per loro il 50% dei ricavi.
Le più belle erano riservata per gli stessi cinesi più facoltosi, amanti della trasgressione.
Gran parte dei proventi della prostituzione alla fine venivano reindirizzati in Cina per mezzo delle societa’ di money transfer, un federalismo fiscale assai produttivo.
Monica Coletti