L’Aquila. Chi dice che scienza e ricerca non possano essere divertenti?
Una prova ne è l’articolo a prima firma della dottoressa Eleonora Ortu borsista di ricerca del Dipartimento di Medicina Clinica Sanità pubblica Scienze della Vita e dell’Ambiente (MESVA) dell’Università degli Studi dell’Aquila, dove si dimostra che è possibile divertirsi facendo ricerca e giocare con la storia e le storie delle persone, costruendo suggestioni se non proprio verità scientifiche.
Ci riferiamo all’articolo dal titolo La leggenda sui denti di Freddie Mercury: e se non avesse avuto i quattro incisivi in più? = The legend on Freddie Mercury’s teeth: and if he hadn’t the four additional incisors? pubblicato nel numero di Febbraio 2021 sulla rivista Dental Cadmos dal gruppo di ricerca costituito da Eleonora Ortu, Davide Pietropaoli, Francesco Ortu, Mario Giannoni e Annalisa Monaco tutti afferenti al Dipartimento MESVA per il settore Malattie Odontostomatologiche e disponibile al link:
http://www.odontoiatria33.it/dentalcadmos/16052/16592/la-leggenda-sui-denti-di-freddie-mercury-e-se-non-avesse-avuto-i-quattro-incisivi-in-piu.html
Le conclusioni di questo articolo ribaltano alcuni principi clinici e quindi scientifici. Non importa infatti se stiamo parlando di un campo molto specifico quale l’ortodonzia, ma importa soprattutto il valore teorico di questa analisi.
“Negli ultimi 50 anni e forse più – afferma Eleonora Ortu -, le mamme e i papà del mondo occidentale si sono visti di fronte ad un imperativo: raddrizzare i denti storti dei figli! Infatti, i denti storti erano, e sono tutt’ora, considerati come qualsiasi altra disfunzione o malattia che, se non trattata, sarebbe in grado di provocare danni per la salute futura. Non si considera neppure l’ipotesi che mantenere i “denti storti” possa essere un vantaggio rispettando il corso dello sviluppo che, per quell’individuo, la natura ha scelto.
Chi può dire cosa sarebbe successo alla sua voce se Freddie Mercury avesse accettato di adattarsi a quel cliché raddrizzando i denti?”
“Freddie Mercury – continua la Ortu – accettò la sua estetica non ideale, magari con sofferenza, per non rischiare di modificare ciò che lo rendeva unico al mondo: la cassa di risonanza del suo strumento melodioso, seppur con malocclusione”.
Naturalmente è un gioco di ipotesi, non sappiamo e non sapremo mai la verità. Ma il lavoro del gruppo di ricerca diretto dalla Prof.ssa Monaco è importante soprattutto per la serietà con la quale è stato svolto se si considera che ha previsto anche contatti diretti con la fondazione di Freddie Mercury. E le conclusioni a cui giunge la dott.ssa Ortu, sebbene abbiano risolto un enigma degno di Dan Brown, (la non esistenza dei sovrannumerari come ipotetica causa della malocclusione di Freddie Mercury) hanno, in realtà, una portata culturale molto più ampia, togliendo il velo di ipocrisia che spesso fa confondere nelle nostre menti il desiderio estetico con la patologia clinica.