L’Aquila. “Gli emiliani hanno reagito meglio degli aquilani”. Sono le parole dell’ex prefetto dell’Aquila Franco Gabrielli in merito alla capacità di ripartire dopo che il sisma che ha colpito le due zone dell’Italia. Le parole pronunciate a Radio Capital hanno scatenato l’ira dei rappresentanti istituzionali del capoluogo abruzzese, su tutti il sindaco Cialente e l’assessore Pezzopane. Anche i cittadini però sono rimasti indignati dall’ennesima caduta di stile di un rappresentante dello stato nei confronti di una città sconvolta dal sisma del 6 aprile 2009.
Di seguito il testo integrale firmato da due cittadini di Tempera:
“Il prefetto Franco Gabrielli è un dirigente del Ministero dell’Interno perfettamente integrato nel meccanismo burocratico del “Palazzo dell’Amore” di Orwelliana memoria, che tanto intimoriva il Signor Wiston Smith. Per accedere ad una carriera così veloce devi avere dei meriti. Il potere è un somma di stratificazioni che di solito sfociano in un archetipo. Gabrielli è il perfetto erede della “nuova Protezione Civile”. Una continuità con altre vesti. Ma la domanda da porsi è: “perché un alto funzionario dello Stato, sempre attento a misurare gesti e parole, all’improvviso esprime giudizi tanto discutibili quanto provocatori?” Il prefetto Gabrielli non è uomo avventato e tutt’altro che sciocco. Dunque: Perché? Forse una ulteriore trasformazione della Protezione Civile? L’Aquila è stata troppo assistita? Una ulteriore forma di privatizzazione dei grandi disastri? Vedremo.
Per quanto riguarda la lettura del terremoto dell’Aquila, come di tutti gli altri eventi, c’è da fare una netta distinzione tra la narrazione rappresentata dal potere a fronte della lettura di chi lo ha subito, vissuto e che tutt’ora ne vive le conseguenze. La Storia è stata sempre raccontata dal vincitore e dai potenti di turno.
Inoltre è oltraggioso fare paragoni sulle sofferenze delle persone perché il dolore non è scomponibile e nemmeno misurabile.
Il sisma ha consentito al Governo di allora e alla Protezione Civile di gettare le basi per la realizzazione dello stato di eccezione, ovvero la sospensione dell’ ordine giuridico originariamente pensato come una misura straordinaria e provvisoria. Oggi l’eccezionalità e la provvisorietà sono diventate una “forma di governo normale”, assottigliando il confine di democrazia e forme di assolutismo. In quel contesto presero forma e sostanza, le pratiche di commissariamento, spacciandole come uniche, forme possibili di intervento per la ricostruzione. In quella situazione è stato facile determinare un totale assoggettamento e sudditanza da parte delle elites politiche locali e di gran parte della popolazione. Ancora oggi qualcuno si lamenta(il sindaco?) che a quel tempo ci fosse una carenza di “governance”, ignorando, che il significato della parola è: tecnica di governo aziendale, senza voler riconoscere che, invece, c’è stata una sovrabbondanza di governance oltremodo autoritaria che si è espressa anche attraverso i multiformi linguaggi da parte dell’allora Capo del Governo e del suo “efficientissimo” sodale della Protezione Civile.
A quasi 4 anni dal nostro terremoto, rispetto ad una pianificazione per la ricostruzione, esiste una traccia e una visione d’insieme? Le ultime elezioni amministrative non hanno visto prevalere una concezione politica che avesse contenuti progressivi, ma ha semplicemente prevalso il “meno peggio”. Oggi, anche se sono stati riacquisiti parte dei poteri amministrativi e politici, rimangono ancora forme di comando che sono appannaggio dell’attuale governo dei tecnici, del ministro Barca e dei suoi emissari, in quanto controllori del flusso finanziario e veri detentori del potere. Se tanto zelo nella gestione dei denari verso le zone terremotate fosse applicato nei confronti delle banche, forse avremmo più cantieri e meno povertà.
Inoltre il piano strategico della città non può essere calato dall’alto del “sapere” dei professori di Groninghen, i quali hanno fotografato a tavolino una realtà, stabilendone le caratteristiche: Università, terziario, reddito da pensione e solo una minima parte di reddito produttivo. Riteniamo che, invece, le vocazioni della città e le possibilità di sviluppo siano molteplici ed il ruolo dell’Università sia fondamentale ma che debba essere veicolo per favorire il settore farmaceutico, la ricerca tecnologica, il risparmio energetico, ma anche la montagna con i suoi Parchi nazionali e regionali, il turismo e tutte le attività agro-silvo-pastorali.
E’ ovvio che per fare tutto questo occorre un forte intervento pubblico in cui si mettano in campo energie politiche culturali e finanziarie perché il privato non lo farà mai. Ed è altrettanto ovvio che occorre un risveglio da parte dei settori e delle culture più vivaci presenti in questa città anche se dobbiamo riscontrare che, già prima del terremoto, il senso civico e democratico era piuttosto fragile e l’evento catastrofico non facilita la ripresa del cammino. Naturalmente questo non può essere un alibi per nessuno. L’interrogativo è dunque: come uscire da questa doppia crisi post sisma e crisi sociale-finanziaria?”
Lettera Firmata