“Mi sono fidato di quella gente” ha aggiunto il prelato “anche dei miei collaboratori più stretti, pensavo solo di fare qualcosa di buono per la gente, ma da questa esperienza dovremo imparare a stare più attenti”. Un monito al quale si unisce anche il vescovo ausiliario, Mons. Giovanni D’Ercole, come ha scritto don Claudio Tracanna, in un suo editoriale sul quindicinale dell’Arcidiocesi “Vola”.
“L’arcivescovo” ha detto “ha già dettato la linea che si dovrà seguire a partire da subito: attenzione, prudenza, trasparenza. Linea che poi è quella di tutta la Chiesa”.
La vicenda nella quale la Chiesa fa il mea culpa è quella relativa ai fondi Giovanardi, 12 milioni di euro stanziati per il sociale dopo il sisma del 6 aprile 2009 e che invece stavano per essere dirottati verso interessi di parte. Per questo sono finite ai domiciliari, con l’accusa di tentata truffa, Fabrizio Traversi e Gianfranco Cavaliere.
“Certamente” scrive ancora don Claudio “anche le opere caritative della Chiesa devono continuamente prestare attenzione all’esigenza di un adeguato distacco dal mondo per evitare che, di fronte ad un crescente allontanamento dalla Chiesa, le loro radici si secchino. Non esultino, però, i cari amici laicisti che pensano che la Chiesa debba rimanere chiusa nelle chiese e non occuparsi della ricostruzione. Innanzitutto perché la diocesi è proprietaria (intendo per proprietario chi custodisce e tutela un bene che appartiene a tutti) di molti immobili del centro storico e poi perché la nostra fede parla di carne, di opere, di frutti e non può risolversi in un separazione carne-spirito che non appartiene affatto al cristianesimo. Non ci rimane che andare avanti allora imparando da questa vicenda. Si tratta, dunque, di lavorare per ricostruire, tra le tante cose, anche un rapporto di fiducia con la città”.