Associazione Libera pubblica il Dossier Abruzzo: il traffico delle macerie e il malaffare della Ricostruzione

terremoto_casaL’Aquila. “Crepe. 6 aprile 2009, ore 3.32. La fine dell’isola felice. L’Aquila e l’intera regione rischiano di precipitare nelle mani della criminalità organizzata e di cricche e comitati d’affari locali e nazionali”. Comincia così il lungo dossier elaborato dall’associazione Libera di don Ciotti, da sempre in prima linea nella lotta all’illegalità, anticipato oggi sulle pagine di Repubblica e sul sito dell’associazione.

Un dossier che sarà distribuito la prossima settimana in 40mila copie e che punta l’attenzione sui “traffici delle macerie e sul malaffare del post terremoto”. Un vero e proprio “viaggio nella fossa d’Abruzzo”, una regione fortemente esposta al rischio di infiltrazioni mafiose. E prospetta uno scenario a dir poco preoccupante e inquietante: “La scossa che alle 3.32 ha devastato l’Aquila” si legge nel dossier “non ha prodotto solo lutti e macerie. Ha spazzato via anche quel velo di ipocrisia che copriva chi si ostinava a parlare ancora di Abruzzo isola felice. E già nella prima emergenza e nei primi mesi del post terremoto, è emerso chiaramente che la regione è impreparata e disarmata per affrontare i nuovi rischi che gli si pongono davanti. La storia delle infiltrazioni criminali, delle cricche, dei comitati d’affari e della corruzione nel terremoto dell’Aquila sarà lunga ed è ancora tutta da scrivere. Una cosa però è già chiara: il territorio sarà investito da ulteriori assalti che non possono più essere affrontati solo come un problema di polizia. La situazione è talmente grave che la società civile dovrà decidersi a scendere in campo e concertare un’azione comune”.

Si parte dal 6 aprile, il giorno dopo, quando i soccorritori erano impegnati a liberare i corpi dalle macerie e a salvare quante più persone possibile. I primi giorni dell’emergenza, “l’oro dei bagni chimici”, il progetto Case, gli appalti, le inchieste sugli isolatori sismici, l’ordinanza cancella-reati, il “sacco” de L’Aquila, gli strumenti della ricostruzione, “l’affare” del patrimonio artistico, i fondi di investimento.

“Quella dell’Abruzzo criminale e del malaffare” si legge ancora “è la storia di una negazione. È la storia di un’isola felice che isola felice non è, da tempo. Cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra, sacra corona unita, banda della Magliana, ma anche le organizzazioni straniere si muovono tra i monti della Marsica e sulla costa da diversi anni. Fanno affari, si infiltrano nell’economia, reinvestono in attività pulite, mettono le mani sugli appalti, costruiscono basi operative per latitanti e per i traffici di droga. Capitali da riciclare, investiti in aziende e immobili. Quella dell’Abruzzo criminale è una storia di sottovalutazioni. Di continue e insistenti dichiarazioni di estraneità, anche di fronte all’evidenza dei fatti. Le mafie in Abruzzo non ci sono, e se ci sono vengono dall’esterno. Criminali meridionali oppure stranieri. Criminali di passaggio. Una visione che impregna ancora le dichiarazioni di politici, amministratori e a volte anche di operatori della giustizia. E l’omertà, a detta di chi opera sul campo, è diventata regola anche tra gli abruzzesi”. La “capitale dello strozzo”, come viene definita nel dossier, in cui “Pescara è la più colpita d’Italia, la provincia più a rischio dopo Messina e Siracusa. Gli indicatori statistici rilevano una debolezza economica pericolosa a Teramo e soprattutto nella provincia dell’Aquila”.

L’Abruzzo raccontato come “cuore verde d’Europa, ma anche terra di ecomafie”. E il riferimento, in questo caso, è anche alla recente Inchiesta Re Mida, sullo smaltimento dei rifiuti, che ha portato all’arresto dell’assessore Lanfranco Venturoni e dell’imprenditore Rodolfo Di Zio”.

Come spiega pure Repubblica, “le segnalazioni raccolte dal presidio di Libera parlano di liquami smaltiti illegalmente nei fiumi, di bolle di trasporto falsificate, di ditte che subiscono sabotaggi, di contatti fra i manager di quelle aziende e funzionari della Protezione civile per gonfiare le fatture”.

franco_gabrielliE secca è arrivata la replica di Franco Gabrielli, capo dipartimento della Protezione Civile, nonché ex prefetto de L’Aquila. “Tra fare presto e accertare la legalità ho sempre privilegiato la seconda. E questi sono i fatti” ha dichiarato. “E’ molto facile e per certi aspetti non corretto, immettere nel circuito parole e valutazioni che non hanno un riscontro”.  Gabrielli ricorda di aver svolto il ruolo di prefetto per 13 mesi a L’Aquila: “le cose le ho dette chiare sin dal primo momento e sfido qualunque dossier a dimostrare che le informazioni arrivate al prefetto dell’Aquila in quel periodo non siano rimbalzate immediatamente alla Dna, al Dda e alle forze di polizia. Se qualcuno mi dimostra il contrario sono disposto a rispondere e se preso in castagna anche a dimettermi”. Su possibili infiltrazioni poi aggiunge: “tutte le volte che sono stati sottoposti alla mia attenzione degli elementi, ho emesso provvedimenti interdittivi senza alcuna sottovalutazione. Le infiltrazioni e i comitati d’affari vanno perseguiti e anche messi nella condizione di non nuocere più all’economia del Paese. Ma fare generalizzazioni non serve a nessuno”. Sulla sicurezza Gabrielli sottolinea che in quel periodo “oltre il 60% di accesso a tutti i cantieri in Italia è stato fatto a L’Aquila e sono stati controllati tutti i cantieri del Progetto Case. Non ho mai fatto passi indietro rispetto all’esigenza di controllo. Questi sono fatti con la effe maiuscola, monumenti che non vengono scalfiti nè da dossier nè da inchieste”.

E non tarda ad arrivare nemmeno la controreplica dell’associazione Libera. ”Ci sorprende la risposta e la reazione di Franco Gabrielli. Il dossier, pubblicato solo oggi integralmente sul sito di Libera, non contiene alcun attacco all’operato della Prefettura. Il dossier pone piuttosto sotto la lente di ingrandimento l’operato della Protezione Civile ed evidenzia come gli strumenti di contrasto previsti nel Decreto Abruzzo (insieme al Progetto Case) non siano stati attivati per tempo”. L’associazione contro le mafie porta ad esempio il caso della tracciabilità dei flussi finanziari e l’istituzione della cosiddetta white list (quella delle imprese oneste cui possono rivolgersi i soggetti aggiudicatari per il conferimento di subappalti) che ”sono entrati in vigore solo nel settembre del 2010, cioè a lavori del Progetto Case finiti da mesi. L’associazione Libera è presente da tempo in Abruzzo. Ogni qualvolta abbiamo riscontrato incongruità o anomalie, le stesse sono state segnalate alle Forze dell’ordine. Anche sulla base di tali segnalazioni la Prefettura ha disposto accertamenti, inchieste e preso provvedimenti: questi sono fatti. Non vediamo quindi di cosa il Prefetto si possa dolere”.

 

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