Se però si scorrono le pagine dei quotidiani locali si ha la percezione che i numeri in realtà siano purtroppo sottostimati e inoltre a questi bisognerebbe aggiungere i crimini a metà, quelli in cui la vittima ha salva la vita.
Cosa sta accadendo nella nostra società? Perché più ci inoltriamo nel XXI secolo e più lievitano questi crimini contro le donne?
E soprattutto, cosa si sta facendo per prevenirli?
A queste domande si è provato a rispondere all’incontro che si è svolto all’eCampus di Roma nei giorni scorsi, a cui hanno partecipato Maria Carla Bocchino, primo dirigente della Polizia di Stato, responsabile della Divisione Analisi dello S.C.O (Servizio Centrale Operativo), Rita Neri, responsabile della sede di Roma dell’Università eCampus, Costanza Rizzacasa d’Orsogna, giornalista del blog del Corriere della Sera “La 27ora” e lo scrittore ed ex-magistrato Gianrico Carofiglio, che nel corso del dibattito ha letto alcune pagine del suo romanzo “Ad occhi chiusi” in cui ha trattato proprio il tema del femminicidio.
La dottoressa Bocchino ha sottolineato l’importanza di dare la priorità agli atti persecutorii, poiché basta un intervento in ritardo di mezz’ora per non riuscire a salvare una vita a seguito di una segnalazione.
Rispetto al passato, Polizia e Carabinieri fanno formazione su questo particolare tipo di crimini, però il territorio è così capillare che, come ha affermato la stessa dottoressa Bocchino, “possiamo aspettarci un operatore che è oberato di lavoro e non riesce in quel momento a percepire la gravità dello stato reale delle cose”.
Parole poco consolanti a cui si aggiunge il fatto che la ratifica della Convenzione di Istanbul prevede il recupero delle vittime tramite ad esempio un’accoglienza in case famiglia, però i fondi non ci sono.
Gianrico Carofiglio, quando ancora esercitava la magistratura si occupò di un caso di femmincidio, che all’epoca però non veniva ancora archiviato sotto questo termine. Era il 1998.
Da allora di strada se ne è fatta, ma non basta.
L’ex-magistrato, ha sottolineato come sia però più strategicamente intelligente vedere che cosa funziona nell’ambito della prevenzione ai crimini di femminicidio e cercare di riprodurlo. Non si può dargli torto, ma, appunto, non basta.
E non basta perché come ha spiegato la psicologa Chiara Gambino, intervenuta fra il pubblico presente in sala, ci sono tre punti fondamentali che andrebbero messi in atto e che invece sono ancora troppo poco sviluppati:
Ciò che è risultato da questo incontro è che le forze sono sicuramente mobilitate, il livello di attenzione è salito rispetto agli anni passati, ma non è sufficiente e lo si può vederedalle pagine di cronaca.
Di provvedimenti ne sono stati presi ma non abbastanza e la dimostrazione è data anche dal fatto che non ci si trova d’accordo nemmeno sulla parola “femminicidio”, tacciato da molti come brutto termine, senza tener conto del fatto che è stato proprio grazie a questo “neologismo” che si cominciò a prendere in maggiore considerazione questi atti di violenza. L’unica ad averlo sottolineato nel corso del dibattito è stata la giornalista del Corriere della Sera, Costanza Rizzacasa d’Orsogna. Alla domanda fatta a Carofiglio su un termine alternativo, lo scrittore, tra il serio e il faceto, ha detto di volersi avvalere della facoltà di non rispondere.
Monica Cillario