Chieti. La Fast di Atessa, azienda leader nella produzione di autoambulanze, a rischio chiusura per alto indebitamento. È quanto denuncia la Fiom Cgil, che riconduce le motivazioni a una possibile cattiva gestione esercitata dal gruppo dirigente.
La sigla sindacale ha deciso di esporre alla Procura della Repubblica alcuni elementi riguardanti presunti fatti strani che potrebbero essere rilevanti per definire le cause dell’indebitamento e della crisi drammatica in cui versa la Fast. “L’obiettivo è verificare che non ci siano stati illeciti nella gestione dell’Azienda” spiega il segretario provinciale Davide Labbrozzi “per restituire dignità alla Fast e ai suoi dipendenti. In termini generali, va affermato un principio sacrosanto: il lavoro delle aziende non appartiene a chi pensa solo ed esclusivamente all’arricchimento personale, ma al contrario, al territorio ed alla gente che in detti posti vive e lavora. Da oggi, per la Fiom, parte una battaglia sindacale durissima per difendere il lavoro che c’è e rivendicare la parte che probabilmente qualcuno con strane operazioni ha portato via”.
Il sindacato chiederà alla procura chiederemo di indagare su una serie di elementi, come l’ambito commerciale dell’azienda, che, spiega la Fiom “era ed è gestito da una società di nome Safe che fa riferimento a parenti di primo grado di uno dei membri più importanti del Consiglio di Amministrazione della Fast. Parliamo dell’ex amministratore dell’azienda”. Non solo. Secondo la sigla sindacale, sembrerebbe che “qualcuno stia provando a spostare il mercato della Fast verso un’Azienda tunisina nella quale lavora attualmente uno degli ingegneri ex Fast di Atessa. La Fast ha inoltre svariati milioni di Euro di debiti, la maggior parte dei quali verso il territorio locale (piccole aziende, dipendenti, banche, ecc.) e, nonostante ciò, è impercettibile l’impegno di “tutti” gli attori presenti, al fine di far ripartire l’Azienda ed evitare un tracollo vero e proprio non solo per i dipendenti dell’Azienda stessa, ma per il sistema che ruota intorno alla Fast”. A questo si aggiungerebbe il fatto che sarebbero numerosi i lavoratori che sostengono che importanti parti produttive della fabbrica atessana siano finite in Tunisia senza una ragione industriale plausibile.