È Eugenio Ferrazzo il capo dell’associazione a delinquere mirata al traffico internazionale di stupefacenti sgominata dai carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Pescara, in collaborazione con i colleghi di Chieti e Como. Ferrazzo, già nel 2003 arrestato in Ecuador per narcotraffico internazionale sotto il falso nome di Roberto Giorgi, da lì l’alias ‘Roberto il calabrese’. Originario, infatti, di Mesoraca, nel crotonese, figlio di Felice Ferrazzo, capo della omonima cosca appartenente alla ‘ndrangheta che negli anni ’90 mise a segno una feroce serie di delitti e omicidi legata al traffico di armi e droga. Secondo gli investigatori, il calabrese avrebbe da anni intessuto i propri affari in Abruzzo, gestendoli dal Molise, dove risedeva. La droga avrebbe, quindi, preso la direzione proveniente dal Sudamerica, diramandosi verso la Puglia e il nord Italia attraverso la rete di Ferrazzo, che recentemente aveva individuato la “tranquilla” piazza chietina di San Salvo per le operazioni di raffinazione, taglio e confezionamento. Il blitz di ieri è, dunque, solo l’ultimo tassello ricomposto dalle operazioni investigative dell’Arma, ricostruite stamane in conferenza stampa dal comandante del Nucleo pescarese Marcello Galansi, affiancato dal comandante del Reparto operativo Marcello Sclocchera e dal capitano Eugenio Stangarone del Nucleo investigativo.
Tutto parte il 10 marzo scorso, quando nel corso di un’indagine su un ‘giro’ di macchine di grossa cilindrata, viene tratto in arresto a Vasto (Ch) Comas Brea, dominicano ritenuto il possibile terminale con il Sudamerica, da dove provengono gli 1,5 chili di coca purissima trovatigli in possesso e destinata allo spaccio sulla costa. In quell’episodio, Brea era in casa di Sergio De Pascalis, già in passato coinvolto in traffici di droga, arrestato lo scorso 5 maggio a Mariano Comense dai militari di Como insieme al brasiliano 70enne Domingo Junior Catanzaro residente a San Salvo e Antonio Pinna, 45enne sardo residente a Mariano Comense, già autore di traffici con la Spagna e ritenuto l’anello di congiunzione tra le cosche calabresi e il comasco. In quell’occasione era stato sequestrato 1 chilo di cocaina confezionato in ovuli rinvenuti in uno scatolo d’acciaio realizzato e saldato artigianalmente, collocato nel vano motore di un Audi A6, oltre a 20mila euro in contanti, proventi dello spaccio, 12 cellulari ed un computer portatile. Di questo gruppo, terminale del nord, Catanzaro era il corriere con la raffineria abruzzese; a lui, infatti, è intestato il contratto di affitto del garage di San Salvo utilizzato come raffineria, coperto (e sommerso) dalla lecita attività di stockaggio e vendita di jeans. Un lavoro pulito e ben occultato, tanto che persino il titolare dell’immobile è risultato ignaro di tutto.
La raffineria, nonostante il colpo subito, non ferma l’attività: il posto di Catanzaro viene preso dalla convivente rumena, Alina Anton, 27enne residente a San Salvo. Dalle intercettazioni i carabinieri sono risaliti al garage di via Celestino Quinto, dove hanno fatto irruzione prima che la banda, spaventata dagli arresti del 5 maggio, smantellasse il laboratorio e si spostasse in altri lidi. Nel garage, fra gli scatoloni di jeans, sono stati arrestati, dopo una colluttazione e un tentativo di fuga, la stessa donna rumena, Rocco Perrello, calabrese 33enne di Scilla (RC) ma residente a Vasto e considerato l’uomo di fiducia in Abruzzo, Maria Grazia Catizzone, crotonese moglie di Ferrazzo, anche lui fermato durante il blitz. L’irruzione, poi allargata nelle abitazioni di San Salvo e Vasto, ha prodotto il ritrovamento di altri 2,5 chili di cocaina confezionata in panetti e di un vero e proprio arsenale di pistole, tutte con matricole abrase e corredate di munizioni: una 44 Magnum, una Smit & Wesson calibro 10, una Bernardelli calibro 9×21, una Colt calibro 10 e una Beretta calibro 9, una delle quali accuratamente modificata per poter sparare con miglior precisione. Sequestrato anche un parco-mezzi: una Punto rubata ad una casalinga pescarese nell’ottobre 2010, una moto Yamaha rubata ad un operaio pescarese a maggio 2009, un motociclo Aprilia e la Peguegeot usata da Elina Anton per spostare la cocaina. Dettagliatamente dotata la raffineria: presse, stampi, solventi e materiale da taglio di ogni tipo tra i quali una consistente quantità di cristalli rosa ancora al vaglio delle analisi chimiche per accertarne la natura.
Solo 10mila euro il contante rinvenuto, ma “il gruppo poteva arrivare a gestire, 10 chili alla volta, fino a 100 chili di cocaina pura all’anno”, ha spiegato il colonnello Galansi; calcolando che un chili di sudamericana bianca frutta 20mila euro, moltiplicando 1:4 la quantità dopo il “taglio”, si arriva a cifre da vero narcotraffico. Non è ancora chiaro il punto italiano di approdo della coca pura, ma “la consorteria adriatica”, aggiunge il capitano Stangarone, “seguiva le tappe di Termoli, Vasto e Pescara”. Nel capoluogo adriatico, infatti, Catanzaro stava sondando il terreno per installare, sempre nella rete dei negozi di abbigliamento, altri basi criminose. “Non appena la criminalità organizzata cerca di stabilirsi in Abruzzo, l’Arma interviene per stroncare il tentativo sul nascere”, ha concluso Galansi.
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Daniele Galli