Ho notato che in molti hanno mostrato interesse per il mio precedente articolo ‘Non è un infarto, è un attacco di panico’ https://abruzzo.cityrumors.it/rubriche/chiaramente/non-e-un-infarto-e-un-attacco-di-panico-59409.html; per questo ho deciso di approfondire l’argomento, focalizzandomi stavolta sull’Agorafobia, un disturbo d’ansia gravemente invalidante che colpisce una porzione considerevole della popolazione generale.
Per agorafobia si intende l’ansia relativa al trovarsi in luoghi o situazioni da dove è difficile (o imbarazzante) allontanarsi oppure dove è difficile o impossibile ricevere aiuto nel caso in cui si verifichino sintomi di un attacco di panico o nel caso si ha difficoltà a trovare rapidamente rifugio in un posto sicuro, in genere la propria casa.
Il disturbo di solito inizia con la comparsa di attacchi di panico spontanei, seguiti dallo sviluppo di ansia anticipatoria e da comportamenti di evitamento. Il timore agorafobico si verifica in genere nei supermercati, ristoranti, trasporti pubblici e nei luoghi chiusi. Spesso le persone agorafobiche si sentono più sicure in queste situazioni se accompagnate da qualcuno che conoscono. Nei casi più gravi si può avere una completa chiusura in casa e ci si può trovare a dipendere completamente dalla collaborazione dei familiari.
Le condotte di evitamento, dunque, rappresentano la componente centrale dell’agorafobia; per ogni persona con questo problema è possibile tracciare una linea di demarcazione tra “zone sicure” e “zone pericolose”: le prime sono definite dalla vicinanza alla propria casa o ad una persona significativa; ne seguono evitamenti sistematici e limitazioni più o meno gravi delle possibilità di spostamento e dell’autonomia personale, con modifiche anche rilevanti nella vita della persona. Per capire meglio, si passa da limitazioni più lievi, come ad esempio non fare certi viaggi se non accompagnati, a limitazioni più gravi, che ostacolano per esempio il recarsi al lavoro o la piccola autonomia di spostamenti nel paese da parte di una casalinga.
Il disturbo è più comune nelle donne e l’insorgenza tipica è nella fascia dei 30 anni, circa il 2-3 % della popolazione risulta soffrirne.
Le caratteristiche dei timori agorafobici hanno in comune tre aspetti:
- la lontananza dalla casa (solitudine, lontananza da persone familiari)
- il sentirsi prigionieri di un posto (costrizione fisica; può essere un matrimonio, la nascita di un figlio o altro genere di situazioni che danno una sensazione claustrofobica)
- l’affollamento (spazi aperti destrutturati, come piazze o ponti)
L’eziologia dell’agorafobia è sconosciuta, anche se un numero crescente di ricerche indica diversi meccanismi biologici e psicologici alla base; inoltre alcune ricerche hanno individuato la Teoria dell’Attaccamento di John Bowlby come quadro teorico per l’eziologia dell’agorafobia: si tratterebbe di un esito dell’ansia da separazione infantile, che si evidenzia nell’adulto; tuttavia secondo alcuni studiosi anche la teoria di Bowlby presenta dei punti deboli.
L’agorafobia è quasi sempre accompagnata da episodi ansiosi o attacchi di panico e questa componente spesso costituisce il motivo principale della richiesta di consulto con lo psicoterapeuta.
Per quanto riguarda il trattamento, la Psicoterapia Cognitivo Comportamentale sembra il metodo migliore per il trattamento di questo disturbo. La letteratura ci dice che il 70% dei pazienti che conclude il trattamento presenta notevoli miglioramenti se non la remissione completa del disturbo.
Luisa Del Nibletto