Pescara. L’assessore all’Agricoltura, Dino Pepe, con una nota ufficiale, ha richiesto al Ministro delle Politiche Agricole Murizio Martina, l’attivazione di un tavolo tecnico per la revisione degli strumenti normativi attualmente vigenti in materia di gestione degli ungulati selvatici con particolare riguardo ai cinghiali.
La normativa nazionale in materia risulta ormai obsoleta e si rende pertanto necessario l’avvio di una concertazione tra Regioni e Ministeri competenti al fine di adeguare detta normativa, con la finalità di garantire l’equilibrio “sostenibile” tra le popolazioni di fauna selvatica e il mantenimento delle coltivazioni agricole e le altre attività antropiche, nonché la giusta tutela della sicurezza e della incolumità pubblica.
Purtroppo, in Abruzzo, l’elevata densità di animali selvatici (che ha ampliato il proprio areale con una grande adattabilità ai cambiamenti ambientali e climatici in corso), oltre che essere responsabile di ingenti danni alle produzioni agro-silvo-pastorali determina anche pericoli concreti alla pubblica incolumità con esiti, in alcuni casi, anche drammatici e con la perdita di vite umane.
La Regione Abruzzo, nel bilancio di previsione 2015, pur ritenendo prioritaria la tutela delle produzioni agricole e non il mero indennizzo dei danni all’agricoltura, ha inteso, comunque, stanziare risorse specifiche al riguardo ma tali danni sono in aumento e specifici interventi come la caccia di selezione su tutte e quattro le province abruzzesi (pure inserita nel nuovo calendario venatorio 2015) e l’attivazione della microfiliera del cinghiale (nel nuovo P.S.R. 2014-2020), rappresentano un aiuto importante per contrastare tale fenomeno ma non del tutto sufficiente.
Infine, al precipuo fine di rendere operativo il tavolo di confronto, è stato fornito un elenco di argomenti strategici su cui potrebbe essere orientata la concertazione:
autonomia gestionale delle Regioni, per poter valutare ed implementare le strategie più opportune e funzionali al proprio assetto socio-economico e territoriale e per poter rivalutare tale patrimonio faunistico che dovrebbe costituire una risorsa del territorio anziché un problema; distinzione tra l’esercizio dell’attività venatoria e quella di controllo; possibilità per le Regioni di ampliare i periodi di caccia di alcune specie di selvatici, in particolare degli ungulati, in presenza di esigenze riscontrate dall’OFR o dall’ISPRA;
aumento del numero di giornate di caccia settimanali per gli ungulati ed altre specie molto dannose; controllo, prevenzione e risarcimento dei danni sia nelle aree a gestione programmata della caccia sia all’ interno delle aree ove l’esercizio venatorio è vietato; per queste ultime andrebbe previsto la possibilità di ricorrere ad uno specifico atto autorizzativo rilasciato da un’autorità esterna all’Ente Parco stesso (Presidente della Giunta Regionale – Prefetto competente per territorio – Sindaco);
possibilità per le Regioni di avvalersi del parere tecnico-scientifico dell’Osservatorio Faunistico Regionale (se ne sono dotate) per il monitoraggio delle specie e la definizione degli interventi da realizzare sul territorio al fine di garantire l’equilibrio; avvio dell’attività venatoria nelle aree contigue ai Parchi con una modulazione della pressione venatoria; affidamento alle Regioni della gestione della fauna selvatica nelle aree contigue ai Parchi con appositi regolamenti;
maggiore coordinamento tra le diverse realtà istituzionali preposte alla gestione della pianificazione faunistico-venatoria e delle aree protette (Regione-Enti Parco) e quelle invece preposte alla gestione dell’attività venatoria e del territorio a caccia programmata (Associazioni Professionali Agricole, Associazioni venatorie, Ambiti Territoriali di Caccia).
Febbo contesta i contenuti della lettera di Pepe
Il Presidente della Commissione di Vigilanza Mauro Febbo contesta i contenuti della lettera sull’emergenza fauna selvatica che l’Assessore alle Politiche agricole Dino Pepe ha inviato alle Istituzioni nazionali. “Innanzitutto – spiega Febbo – non esistono leggi con cui la Regione ha contenuto i danni; i regolamenti votati nella scorsa Legislatura sono stati osteggiati proprio dalla sua parte politica e, nell’attuarli, sono state omesse le forme di controllo verso le Province, visto che alcune avevano completamente ignorato l’obbligo della redazione dei piani quinquennali.
L’inefficacia non è affatto dovuta alla legge 157 e alla legge 394, le quali non precludono nessuna delle azioni stabilite ai fini dello svolgimento della caccia di selezione e del controllo, il cui successo deriva dall’azione delle Province e dai controlli degli enti superiori come le Regioni.
L’equilibrio sostenibile non si ottiene con accordi Regione e Ministero, ma mettendo in pratica gli strumenti forniti dalle fonti legislative, più che corretti e completi, usati da tutte le Regioni; le Regioni hanno già in dote dalla legge l’autonomia gestionale sulla caccia, se non con la limitazione, stabilita dall’articolo 117 della Costituzione e confermata dalle sentenze della Corte Costituzionale 2014 e 2010 per Piemonte e Liguria, dei livelli minimi di tutela, concetto questo che si incrocia con la tutela generale dell’ambiente, e che si è espresso laddove alcune Regioni hanno tentato di variare l’art. 32 della 394. Ampliare da parte delle Regioni i periodi di caccia – sottolinea Febbo – attiene alle variazioni dei periodi della 157 e cioè alla revisione dei requisiti minimi di tutela, i quali non possono essere variati attraverso l’OFR (Osservatorio Faunistico Regionale), perché sarebbe anticostituzionale; le norme già distinguono l’attività venatoria da quella di controllo e sono chiarissime;
il controllo è già possibile nelle aree chiuse interdette all’attività venatoria, ma decide l’ente gestore. Nella lettera si richiede la possibilità di avvalersi dell’OFR: finalmente si riconosce, con questa richiesta, che a oggi tale riconoscimento non esiste, viste le 3 sentenze di Corte Costituzionale già evidenziate dall’ISPRA. Si richiede l’avvio dell’attività venatoria nelle aree contigue modulando la pressione venatoria: informo Pepe che le aree contigue oggi in Abruzzo non esistono. Si confonde la ZPE con le aree contigue, stabilite dall’art. 32 della 394, che sono tutt’altra cosa. Tali aree vanno individuate dalla Regione sentiti i Parchi. Basterebbe non farle finché non viene modificata la legge 394, inserendo la ‘residenza venatoria’. Si chiede l’affidamento alle Regioni delle aree contigue: ribadendo che non esistono ricordo all’Assessore che il Consiglio di Stato è stato chiarissimo, come materie concorrenti nell’incrocio con le tutele minime affidate allo Stato, in ragione della mission delle aree contigue occorrerebbe una revisione dell’articolo 117 della Costituzione, per cui il Ministro può fare ben poco.
Nessun regolamento supera tale problematica. Anche in caso si facessero appositi regolamenti, se impugnati come accaduto nel contenzioso acceso dall’Atc Sulmona con il Consiglio di Stato, si sarebbe eternamente soccombenti. Infine – conclude il Presidente della Commissione di vigilanza – si chiede maggiore coordinamento a livello istituzionale. Ma questa, vorrei dire a Pepe, è una richiesta che sa di presa in giro per il mondo venatorio e il mondo agricolo, in quanto la Giunta Chiodi aveva limitato le prescrizioni alla caccia e alla braccata esclusivamente nei territori dove è presente l’orso nei periodi di attività venatoria, avvalendosi degli studi dell’Università La Sapienza e del Ministero, proprio attraverso il Tavolo tecnico ristretto (TTR) del punto B1 sulla caccia dell’accordo Patom.
La Regione, con il suo tecnico nominato al tavolo del Patom, sta aumentando i divieti di braccata in maniera indiscriminata, decretando la salvezza dei cinghiali e la fine dell’agricoltura, ignorando tutti i lavori del Tavolo tecnico ristretto B1, vietando la braccata senza nuovi dati con una cartina che l’Assessore stesso ha pubblicato sul sito della Regione. Se ne è reso conto?”.