Archeoclub Pescara, Lega Italiana Protezione Uccelli, Stazione Ornitologica Abruzzese e Associazione per la Tutela degli Uccelli Rapaci e dei loro Ambienti evidenziano come le aree più pregiate dal punto di vista paesaggistico e naturalistico della regione siano proprio terreni di uso civico. Pochi sanno che quasi un terzo del territorio regionale, da Campo Imperatore ai boschi del Parco d’Abruzzo non hanno alcun proprietario unico ma sono un patrimonio collettivo in uso alle comunità.
Purtroppo nei decenni vi sono state migliaia di occupazioni da parte di privati. Dal 1927 esiste una procedura per alienare queste aree – lo fu nel 2007 quella su cui gravava l’hotel Rigopiano, ad esempio – sulla base di presupposti assai restrittivi, almeno sulla carta. Lo Stato ha affidato alle regioni il compito di seguire i relativi procedimenti amministrativi.
Ora la Regione Abruzzo con la legge 47/2022 non solo ha subdelegato i 305 comuni per lo svolgimento di tutte le pratiche ma ha anche previsto una sorta di silenzio-assenso da parte della regione. Con l’aggravante di non prevedere criteri per permettere una gestione omogenea e soprattutto all’altezza da parte di centinaia di amministrazioni comunali diverse, molte delle quali di piccoli paesi che spesso non hanno tra il proprio personale le qualifiche adeguate per trattare un tema così delicato come l’alienazione di beni collettivi.
Le associazioni hanno richiamato diverse sentenze della Corte Costituzionale che in questi anni è intervenuta bocciando leggi regionali molto simili a quella abruzzese. I giudici delle leggi hanno chiarito che sussiste “uno specifico interesse unitario della comunità nazionale alla conservazione degli usi civici” anche perché la normativa statale in materia riconosce la “consolidata vocazione ambientalista degli usi civici e dei domini collettivi”.
I giudici costituzionali hanno fatto notare che è necessario “il massimo rigore nella verifica dei presupposti sostanziali che consentono di accedere alla liquidazione degli usi civici, alla affrancazione del fondo e alla legittimazione delle occupazioni sine titulo”. Di conseguenza non può essere consentita”alcuna ingerenza da parte del legislatore regionale” rispetto alle indicazioni statali circa la gestione di questo patrimonio.
Tra le molteplici criticità indicate dalle associazioni vi è anche una clamorosa “dimenticanza” del legislatore regionale: la norma nazionale prevede – e questo fa capire la delicatezza dell’argomento – che i procedimenti di legittimazione siano conclusi addirittura da un decreto del presidente della Repubblica d’intesa con la regione interessata, pena la nullità del procedimento con tutte le conseguenze che è facile immaginare, ad esempio nella successiva compravendita degli immobili alienati. Nella norma regionale non si fa alcun cenno a tutto ciò, lasciando un patrimonio ambientale di inestimabile valore ad una gestione fondata su norme ad avviso delle associazioni incomplete e pericolose.