Il pacchetto per l’editoria (art. 195) inserito nel Decreto Rilancio, per un ammontare di 50 milioni di euro, non dispiegherà i suoi effetti su tutte le emittenti tv. A beneficiarne saranno solo le televisioni incluse nella graduatoria 2019 dei contributi alle emittenti locali, con l’esclusione quindi di quelle che non hanno i requisiti per entrarvi. Una scelta fortemente discriminatoria nei confronti di tutte le altre emittenti televisive locali che durante l’emergenza coronavirus hanno continuato a produrre, con l’impegno di tutti i propri lavoratori, un’informazione attendibile ed insostituibile, incrementando in molti casi i programmi informativi, senza mai interrompere il servizio pubblico fornito ai propri telespettatori nonostante la gravissima crisi economica determinata dalla pandemia.
Queste emittenti, come nel caso di Super J, per il solo fatto di non aver ricevuto i contributi statali del 2019 non hanno diritto ai sostegni garantiti, invece, ai soggetti già finanziati. Il tutto, come evidenziato anche dalle sigle che riuniscono le imprese del settore, in un periodo in cui i loro fatturati si sono pressoché azzerati a causa del fatto che gli inserzionisti sono stati costretti a sospendere l’attività. Analoga disattenzione è stata mostrata dalla classe politica regionale abruzzese che in Consiglio regionale ha partorito una legge, il cosiddetto Cura Abruzzo 2 (L.R. 118/2020), anche in questo caso fortemente iniqua. Infatti le risorse assegnate al comparto televisivo locale saranno distribuite sulla base di requisiti che poco o nulla hanno a che fare con l’emergenza sanitaria ed economica in atto: numero di dipendenti assunti al 31/01/2020, fatturato dell’ultimo esercizio finanziario e dati Auditel del 2019.
“Siamo arrivati al paradosso – commenta l’editore di Super J, Filippo Di Antonio, socio di riferimento della Editoriale Vibrata srl – Secondo quanto stabilito nella legge della Regione Abruzzo in merito all’intervento straordinario ed urgente per il sostegno delle imprese del settore dell’informazione a seguito della crisi determinata dall’emergenza Covid-19 potrebbe ricevere un contributo un’azienda cessata il 1 febbraio 2020 e che quindi non ha vissuto e subìto l’emergenza pandemica.
I criteri sono quantomeno inadeguati – prosegue Di Antonio – Sarebbe stato logico, corretto e soprattutto equo prendere quale periodo di rifermento proprio quello pandemico (13 marzo – 4 maggio) sia per il calcolo dei dipendenti assunti, al netto di quelli in cig, e sia per i dati Auditel al fine di riconoscere il contributo quindi a chi effettivamente ha vissuto e raccontato il periodo pandemico “in prima linea”. Mi auguro – conclude Filippo Di Antonio – che questo clamoroso errore venga sanato il prima possibile”.