E’ una storia che ormai si ripete in ogni occasione: le ultime occasioni perse per rendere definitivo il quadro delle regole e delle risorse, e per fare tesoro delle esperienze del passato, sono state lo ‘sbloccacantieri’ (un provvedimento troppo ampio nel quale si fece fatica a riservare alcuni articoli alla ricostruzione post-sisma), seguito dal decreto-sisma, nato proprio per ‘compensare’ le mancanze dello ‘sbloccacantieri’.
Nonostante due decreti, dei quali uno ‘dedicato’, il Governo e la maggioranza non sono stati capaci di sciogliere i nodi, soprattutto sulla stabilizzazione del personale, sulla semplificazione delle procedure di progettazione e di appalto (in particolare per la ricostruzione pubblica), sul rifinanziamento dei fondi.
Ogni volta si ripete lo stesso copione: nel testo del decreto non trovano spazio le norme sulla ricostruzione, se vi sono, sono presenti un minimo sindacale di norme, quasi un pretesto per fare emendamenti in sede di conversione. In Commissione prima e in Aula poi, gli emendamenti vengono falcidiati dai pareri contrari dei vari ministeri, primo tra tutti il Mef con la sua insindacabile Ragioneria. Quando non vengono travolti da voti di fiducia, testi blindati, da ultimo ‘problemi tecnici’.
Perché l’errore vero sta sempre lì: nel non mettere mai nel testo-base del decreto un corpus sufficientemente coraggioso di norme, che gli emendamenti parlamentari possono semmai arricchire, ma che in ogni caso sarebbe sufficiente a mostrare un’inversione di rotta.
Anche questa volta, nonostante le proteste dei sindaci (di tutti i partiti) e gli appelli del Commissario Legnini, bisogna ‘sperare’ negli emendamenti; con il risultato che per rendere efficaci le norme che servivano già da tempo, occorrerà attendere i due mesi di conversione in legge. Come se avessimo tempo da aspettare… E non è tutto: nel decreto semplificazioni troverebbero posto solo le norme procedimentali (che non costano), mentre per le norme onerose bisognerà attendere il ‘prossimo’ decreto, dopo il nuovo scostamento.
Voglio sperare che la bozza in circolazione sia incompleta, e che il testo approvato ‘salvo intese’ possa essere integrato prima dell’invio al Quirinale (ci tocca sperare in una ‘santa manina’…) per la firma del Presidente. Perché la ricostruzione non può più attendere un solo giorno. E dopo tante promesse, impegni, sopralluoghi e celebrazioni nei luoghi del dolore, le chiacchiere e la solidarietà a parole non bastano più. Anzi, cominciano ad irritare una popolazione stanca e sfiduciata. Solo negli ultimi mesi, abbiamo inviato al Governo e al Parlamento il testo delle norme che servono per farle inserire nel Cura Italia di marzo – e ci è stato risposto che non c’erano coperture sufficienti e perciò se ne sarebbe parlato nel decreto ‘aprile’. Poi il decreto ‘aprile’ è slittato a metà maggio, ma la ricostruzione non è stata considerata degna di un decreto ‘rilancio’… come se sbloccare qualche miliardo di euro di opere pubbliche non fosse sufficientemente ‘rilanciante’… e gli emendamenti sono stati bocciati per la ‘chiusura anticipata’ della Commissione (una scusa mai sentita prima!).
A questo punto, visto che non c’è una sola forza politica che non si dichiari a voce alta a favore della ricostruzione e della sua accelerazione, resta da capire perché queste norme non vengano approvate: chi è che le blocca, chi è che non ha la capacità, la forza e il coraggio di affrontare le resistenze politiche, economiche, amministrative, burocratiche che stanno condannando alla desertificazione l’Italia centrale. E’ ora che la verità emerga e che ognuno si assuma la sua responsabilità. (Marco Marsilio)