La Mobilitazione Acqua del Gran Sasso diffonde un altro documento in merito alla sicurezza della falda acquifera del Gran Sasso.
“L’INFN, alla faccia dei numerosi comunicati dell’ultimo anno, già nel 2014 ammetteva candidamente di non essere a norma rispetto agli obblighi di distanza dei Laboratori dai punti di captazione dell’acqua potabile usata da centinaia di migliaia di persone – dicono gli ambientalisti – L’inequivocabile dichiarazione del rappresentante dell’INFN è contenuta in un verbale del tavolo tecnico del 13 ottobre 2014, rimasto per anni nei cassetti della regione fino all’accesso agli atti svolto dagli attivisti della Mobilitazione. Il tavolo era coordinato da Lolli che firma il verbale”.
Le associazioni sottolineano come “il rappresentante dell’INFN a verbale sosteneva ‘…osserva però che l’esecuzione di eventuali lavori di impermeabilizzazione non consentirebbero di essere a norma ai sensi del D.lgs.152/2006 in quanto non vi è una distanza sufficiente tra le attività del laboratorio rispetto alla punto di prelievo delle acque per i consumo umano’ (ndr: gli errori di battitura sono nel testo). La distanza è, cioè, inferiore ai 200 metri previsti dall’Art.94 del Testo Unico dell’Ambiente D.lgs.152/2006 in attesa della perimetrazione sito-specifica delle aree di salvaguardia che le regioni avrebbero dovuto fare fin dal 2006. Ricordiamo che in questa fascia è vietato dal 1988 lo stoccaggio di sostanze chimiche pericolose e/o di sostanze radioattive e dal 1999 è previsto anche l’allontanamento obbligatorio per quelle preesistenti. Nei laboratori del Gran Sasso sono state introdotte irregolarmente 1.000 tonnellate di acqua ragia nel 1992 per l’esperimento LVD e 1.292 tonnellate di trimetilbenzene nel 2002 per l’esperimento Borexino”.
E ancora: “Nel 2014 i laboratori ammettevano quindi un fatto così grave ed è letteralmente incredibile che fino a pochi mesi fa la regione, da noi fortemente contestata, si limitava al mantra di proporre proprio quell’impermeabilizzazione che comunque non risolverebbe le violazioni di legge esistenti. Sarebbe da stendere un velo pietoso sulle successive dichiarazioni messe a verbale dall’Ing. Caputi, allora dirigente della Regione, se non aprissero un ulteriore squarcio sull’atteggiamento tenuto negli anni dalle istituzioni in questo scandalo. Infatti Caputi sostiene che poiché tanto i laboratori sono letteralmente immersi nell’acquifero che è molto più vasto, ‘non assume rilevanza la distanza dal punto di prelievo’. Un modo di ragionare assurdo, visto che è l’esatto contrario. Solo nel luglio 2017, a 3 anni da queste dichiarazioni, l’ERSI ha approvato la proposta di perimetrazione delle aree di salvaguardia per l’acqua potabile. Ci ha messo tre mesi a trasmetterla alla regione che da ottobre 2017 la tiene nel cassetto e non l’approva. L’esistenza della proposta è emersa anche in questo caso solo grazie ad un accesso agli atti della Mobilitazione”.
“Cosa dice la proposta? Quello che Caputi dimostrava di sapere già nel 2014 e che noi avevamo, per logica e senza conoscere queste carte, sostenuto da subito rispetto ai proclami inutili di Lolli. Cioè, che nel Gran Sasso un limite di 200 metri è ridicolo in quanto un eventuale incidente potrebbe coinvolgere l’acquifero per chilometri togliendo l’acqua a 700.000 persone sia sul lato teramano che su quello aquilano e probabilmente pure su quello pescarese e che per questo va applicata la legge allontanando le sostanze pericolose che costituiscono il rischio principale per la risorsa acqua”.
Sabato 23 giugno la Mobilitazione Acqua Gran Sasso ha convocato a Pescara alle 10:30 davanti alla regione in viale Bovio in un sit-in per reclamare l’immediata approvazione delle aree di salvaguardia e l’allontanamento delle sostanze pericolose dai laboratori del Gran Sasso, usate in soli 2 esperimenti su circa 20.