L’Aquila.“Malgrado gli oltre quattro anni trascorsi dal terremoto del 6 aprile 2009 deve con amarezza constatarsi che il centro storico della citta’, cuore pulsante della sua vita culturale, della sua arte e della sua socialità, è ancora devastato e non è stato restituito ai cittadini, che sono segnati e provati da sfiducia e incertezza sul loro futuro”. Lo ha detto il Presidente della Corte d’Appello dell’Aquila, Stefano Schiro’ nel discorso inaugurale del nuovo anno giudiziario.
“Nella relazione inaugurale del 2013 – ha proseguito – ponevo in evidenza che nell’auspicabile clima di fattiva e virtuosa collaborazione tra le istituzioni pubbliche per la rinascita civile e morale della citta’ dell’Aquila, anche l’amministrazione della giustizia intendeva fare la sua parte, soffrendo essa stessa dell’incertezza, della precarietà e dello smarrimento in cui versa la città e tenuto conto che anche la funzionaita’ della giustizia continuava ad essere condizionata e compromessa dalle ancora disagiate condizioni logistiche in cui si trovava gran parte degli uffici giudiziari aquilani. In tale contesto – si è soffermato il Presidente della Corte d’Appello dell’Aquila – auspicavo un clima non solo di fattiva collaborazione tra le istituzioni pubbliche ma anche di regolare operaosità affinché gli ‘esempi nobili, le prassi virtuose, le iniziative concrete messe insieme in una sorta di confronto e di emulazione virtuali’, costituissero ‘un ponte ideale’ che avviasse la città dell’Aquila e i suoi abitanti verso un futuro migliore. E’ trascorso un anno da allora. Possiamo dire che questo clima di fattiva collaborazione e di regolare operosita’ si sia realizzato?. Dobbiamo purtroppo rispondere di no, stando agli eventi che hanno caratterizzato la vita pubblica della citta’ nei mesi passati e anche di recente. Esprimo comunque apprezzamento – ha concluso Schirò – se alla stregua di quanto e’ possibile desumere dai media, la vita istituzionale e politica della citta’ ha effettivamente posto al centro dell’attenzione e del dibattito la questione della legalita’, dell’agire amministrativo e del suo controllo”
Gli avvocati abruzzesi hanno abbandonato per protesta durante la cerimonia d’inaugurazione dell’anno giudiziario, all’Aquila, denunciando “la condizione in cui versa la giustizia”. L’uscita è stata annunciata dal presidente del Consiglio dell’Ordine Forense dell’Aquila, Carlo Peretti, in qualità anche di Presidente distrettuale dello stesso Ordine. “La giustizia oggi in Italia assolve alla sua funzione di regolare i rapporti umani e sociali? Nove milioni di processi pendenti – ha detto Peretti – 17 riforme in otto anni con i tentativi, nemmeno poi tanto mascherati di istituire una giustizia di serie A perchi puo’ permettersela ad una di serie B per tutti gli altri; costi aumentati negli ultimi tre anni fino al 182%”.
“Per risolvere – ha aggiunto – le fisiologiche criticità della giustizia nel nuovo disegbno di legge, una delle novità prevede la possibilità di conoscere le motivazioni della sentenza di primo grado solo previo pagamento di una quota prestabilita, corrispondente a una parte del contributo unificato richiesto per il grado di giudizio seguente. In sostanza il giudice non emana più la sentenza completa, ma esclusivamente il dispositivo, con i riferimenti normativi e giurisprudenziali occorsi per risolvere la controversia. Se la parte vuole capire perche’ abbia avuto torto o ragione ovvero voglia conoscere le motivazioni estese, invece, dovra’ presentare relativa richiesta con tanto di saldo degli oneri pattuiti. Ormai – ha detto sempre Peretti – si assiste al disfacimento di coloro che professionalmente debbono confrontarsi ogni giorno con la trincea della giustizia: l’Ordine forense, asfissiato da numeri abnormi e’ diventato un ammortizzatore sociale cosi’ ridotto da quanti ritengono che la funzione difensiva e’ un fastidioso intralcio. L’ordine giudiziario troppo spesso in splendido isolamento a detrimento del proprio ruolo di garanzia ed indipendenza. Il corpo dei cancellieri e degli assistenti giudiziari mortificato e logorato da precarie condizioni lavorative sommerso da tonnellate di carte in rapido invecchiamento”.
Prima che la cerimonia d’inaugurazione dell’anno giudiziario cominciasse, fuori dalla Scuola Ispettori della Guarda di Finanza, a Coppito (L’Aquila), c’è stato un sit-in, in difesa dei tribunali abruzzesi inseriti nel processo di accorpamento. “Il tribunale di Sulmona deve essere salvato” la scritta su uno striscione esposto. Gli altri tribunali a rischio chiusura sono Avezzano (L’Aquila), Lanciano e Vasto, entrambi in provincia di Chieti.
Durante la cerimonia di apertura dell’Anno giudiziario presso la Corte d’Appello dell’Aquila, il Presidente Schirò ha parlato anche delle indagini in corso sulla politica, da quella sulle presunte tangenti all’Aquila fino alla bufera sui rimborsi della Regione Abruzzo con 25 politici indagati: “Certamente dev’essere assoluto, pieno e integrale – ha detto – il rispetto del principio costituzionale di presunzione di innocenza fino a sentenza di condanna passata in giudicato. Non si devono confondere le indagini e gli strumenti processuali, di natura istruttoria e cautelare, necessari a impedire la prosecuzione di eventuali reati e ad accertare i fatti, con i processi e le sentenze definitive. Totale deve essere il rispetto della magistratura verso l’autonomia della politica e del legittimo operato e delle legittime scelte delle sue istituzioni. Nessun giudizio anticipato né di condanna giuridica né di censura politica e sociale deve essere emesso prima che siano chiaramente accertati i fatti e non compete certo alla magistratura esprimere valutazioni politiche. Ma non puo’ non osservarsi che la crisi delle istituzioni e la paralisi o il rallentamento del loro operato non sono quella risposta di regolare operosità e fattiva collaborazione di cui ci sarebbe invece necessità. Non dobbiamo dimenticare – ha detto sempre Schirò – che anche nell’amministrazione della cosa pubblica tutto si tiene. Se in un settore nevralgico si crea un vuoto di presenza e di azione legittima, tutto il sistema dell’apparato pubblico ne risente. Siamo chiamati a svolgere un gioco di squadra nel quale tutti devono impegnarsi nella stessa misura e nella stessa direzione, altrimenti è la resa complessiva del sistema che ne risente. E’ possibile che in ogni settore dell’amministrazione pubblica, anche in quello della giustizia naturalmente, ci siano errori, disfunzioni, cadute di legittimità e di tenuta morale. Ma la risalita deve essere rapida, immediata, trasparente e inequivoca, perché quello della fattiva e normale operosità, in un contesto di rigorosa legittimità, è un obiettivo primario ed essenziale. Ce lo chiedono i cittadini e la società civile in genere, che ci guardano e ci giudicano e ai quali abbiamo il dovere giuridico e morale di dare risposte adeguate alle esigenze di efficienza ormai indefettibili”.
“L’anno giudiziario si inaugura con la rivendicazione degli avvocati che, fuori al gelo, mostrano uno striscione simbolo di un’opposizione ad una geografia giudiziaria che non rispetta l’esigenze del territorio; si battono per il respingimento di un referendum abrogativo chiesto da 9 Regioni e sottoscritto da 23 milioni di cittadini, che non dovrebbe essere accantonato. Condivido appieno le loro ragioni, cosi come quelle degli avvocati che sono usciti per rivendicare la loro funzione costituzionale e sociale. Tutto ciò rappresenta una pesante sconfitta per la democrazia” ad affermarlo è la cittadina al Senato Enza Blundo. “I nove milioni di processi pendenti ed i costi eccessivi della giustizia sono il segnale inequivocabile di un sistema inefficiente da migliorare, non con provvedimenti emergenziali – conclude la Blundo – bensì sostanziali”.
“Dall’inaugurazione dell’anno giudiziario viene fuori la conferma che la giustizia si deve rifare. Quando lo dice Berlusconi, lo attaccano perchè secondo alcuni parla per se stesso, ma una riforma seria serve a 60 milioni di italiani, non solo a lui”. Lo ha detto il senatore Antonio Razzi intervenuto alla cerimonia di inaugurazione del nuovo anno giudiziario presso la Corte D’Appello dell’Aquila. “L’Italia – ha aggiunto – ha nove milioni di pendenze, questo non rende un Paese normale, civile. Meno male che Berlusconi ha trovato una convergenza con Renzi, significa che si possono fare le riforme, anche se ora la magistratura sta tentando di massacrare il segretario del Pd cercando scheletri nell’armadio che sono sicuro non ci sono. Tutto ciò davvero non è da Paese normale”.