Ottaviano Del Turco malato e abbandonato dai compagni di partito. A due mesi dalla sentenza per il processo Sanitopoli, l’ex governatore regionale si sfoga con Marco Pannella in un’intervista per il programma di Italia 1 ‘Confessione Reporter’. Un travaglio di 5 anni paragonato a quello di Enzo Tortora.
Che l’intervista vada oltre la semplice ricostruzione dei 5 anni, tra arresto e processo, si intuisce già dall’introduzione della conduttrice Stella Pende: “Avrebbe potuto aiutare l’Italia, invece è malato”. La sfaccettatura più intima degli ultimi 5 anni di Ottaviano Del Turco è andata in onda ieri sera su Italia 1, nella trasmissione di approfondimento giornalistico Confessione Reporter. Ma la sua confessione, Del Turco non l’ha rilasciata al microfono di un semplice giornalista, bensì si è lasciato andare in un’intervista d’autore realizzata dall’amico Marco Pannella, verace leader dei Radicali Italiani che con l’ex governatore regionale condivide il sangue abruzzese.
Barba incolta, aria affaticata, il principale imputate di Sanitopoli non riesce a controbattere alla considerazione iniziale di pannella: “Il tuo è un secondo caso Tortora”. Il parallelo tratto con il caso del conduttore televisivo, immischiato erroneamente in un’inchiesta e in un processo, dal quale né è uscito scagionato solo dopo averci rimesso la salute a causa del dramma del carcere e dell’umiliazione pubblica, non viene chiarito apertamente. Ma un’altra domanda incalzante dell’intervistatore radicale non lascia campo a dubbio alcuno: “Ora cosa pensi di fare? Curarti?”, chiede Pannella. ““Voglio essere assolto”, risponde Del Turco, “tra due mesi ci sarà una sentenza, desidero solo che mi venga restituita la dignità e ciò che sono stato nella mia vita”.
Innocente o colpevole, sarà il tribunale a sancirlo. Ciò che è ormai appurato è che Ottaviano Del Turco, da quell’arresto del 14 luglio 2008 e dai 5 anni successivi, né è uscito profondamente segnato. Forse irrimediabilmente. Segni solcati da quella che, a suo dire, è “una valanga di prove smontate”. Una situazione che già dalle prime battute è sembrata surreale e artefatta: ““Mi hanno arrestato alle 8 di mattina e alle sette e mezza la tv già lo aveva annunciato,” ricostruisce, “quando mi hanno portato via, fuori casa c’era già una folla di persone informate”. E ancora sulle indagini condotte dalla Procura: “L’istruttoria è cominciata solo il giorno dopo il mio arresto, prima avevano solo delle dichiarazioni di Angelini che affermava di non avermi mai incontrato. Poi quella posizione gliel’hanno fatta cambiare”.
Del Turco, davanti a Pannella, snocciola quasi ogni giorno di quei 28 trascorsi tra le sbarre, dei mesi di arresti domiciliari, dei permessi da richiedere obbligatoriamente al Gip per spostarsi tra Roma e Collelongo. Il suo spirito è stato frantumato dalla reclusione nel carcere di Sulmona, penitenziario record per suicidi, e anche questo aspetto avrebbe nascosto del marcio: “Avevo una cella con le sbarre sempre aperte”, racconta, “davanti alla porta c’era il mio lettino e fuori le guardie che mi controllavano a vista 24 ore su 24. Alla visita medica mi hanno voluto dare il Tavor (psicofarmaco sedante Ndr.) senza che ne avessi bisogno: bisognava dare l’impressione che quello era il modo con il quale si evitava che il detenuto potesse fare un gesto insano”. Lui che da sindacalista e da attivista politico aveva già toccato con mano la condizione carceraria, si è trovato costretto a viverla dall’altra parte delle sbarre: e proprio a Sulmona, dove c’è stato il suicidio del sindaco di Roccaraso Camillo Valentini, implicato anch’egli in un’inchiesta sugli appalti pubblici. “Ho capito”, si confessa ancora l’ex presidente della Regione, “cosa può accadere nella mente di un uomo al quale annunciano in anticipo un arresto spettacolare: lui ha fatto un suicidio spettacolare”.
“Un conto è vivere certe cose politicamente e culturalmente, diverso è vivere sulla propria pelle 5 anni di quelli che ho vissuto io. “Cinque anni dopo sto molto peggio, è un dramma di cui non si riescono a capire le proporzioni”. Ma il dolore, quello per l’abbandono, è partito dal primo giorno, quando tutti quelli sui quali pensava di poter contare, Del Turco li ha visti evaporare in un solo colpo: “La ferita più grande ce l’ho perché tutti quelli che sapevano come stanno le cose sono stati zitti. L’aspetto più doloroso è che io ero uno 45 padri fondatori del Pd: il giorno dopo il mio arresto 44 erano scomparsi, non c’era traccia né di solidarietà umana e personale, ma nemmeno dell’ombra di un dubbio”.