“Non chiediamo alcun blocco totale delle aperture domenicali, sarebbe illogico. Chiediamo invece una nuova regolamentazione, che dia l’opportunità di restare aperti quando il mercato lo richiede, ma che tuteli il diritto della media e piccola distribuzione commerciale a fare impresa, a mantenere l’occupazione, a svilupparsi. Diritto che diventa impossibile con una deregolamentazione selvaggia delle aperture festive che fa bene solo ed esclusivamente alla grande distribuzione e che è un caso unico in Europa”.
È quanto ha affermato Beniamino Orfanelli, presidente regionale di Confesercenti, che ha lanciato oggi in Abruzzo la campagna “Libera la domenica”, che l’associazione imprenditoriale sta promuovendo in tutta Italia con il sostegno della Conferenza episcopale italiana.
Questa mattina, nella sede regionale di Confesercenti, è stata lanciata la campagna dai vertici regionali dell’associazione e da don Carmine Miccoli, direttore dell’Ufficio per le Problematiche sociali della Conferenza episcopale d’Abruzzo e Molise. Per Confesercenti, oltre al presidente Orfanelli, la campagna è stata presentata dal direttore Enzo Giammarino, dai presidenti provinciali di Confesercenti Bruno Santori (Pescara), Tommaso Marra (Chieti), Alfredo Pagliaro(L’Aquila), Antonio Topitti (Teramo), dal direttore di Coopcredito Patrizio Lapenna.
L’obiettivo è raccogliere nei negozi e nelle parrocchie le firme necessarie per presentare al parlamento una legge di iniziativa popolare con un fine preciso: “regolamentare le aperture festive, introdurre una legge europea e moderna che sia un giusto incontro fra le esigenze della distribuzione di città, dei consumatori e degli iper esistenti, senza l’obbligo di fatto di aprire ogni domenica come oggi”, ha sottolineato Giammarino. Un “obbligo” di fatto, che non fa crescere i consumi, il Pil e l’occupazione, ma favorisce esclusivamente il trasferimento di quote di mercato dal commercio urbano alla grande distribuzione organizzata, spesso espressione di società multinazionali». Un caso unico in Europa, quello degli orari liberalizzati, che rischia di travolgere 80 mila negozi in tutta Italia nei prossimi 5 anni, con effetti pesanti in Abruzzo che vanta il triste primato di essere una delle regioni a più alta concentrazione di centri commerciali.
“Sgombriamo il campo da un grande equivoco: le aperture domenicali non favoriscono la creazione di nuovi posti di lavoro, né consentono ai lavoratori di incrementare in maniera corposa i propri stipendi” ha spiegato Davide Frigelli della Fisascat-Cisl, uno dei tre sindacati (gli altri sono Filcams-Cgil e Uiltucs-Uil) che hanno dato sostegno operativo a questa iniziativa, “ma sono solo un obbligo imposto ai lavoratori. Per questo siamo assolutamente convinti della validità di questa iniziativa”.
“Non è più sostenibile un mercato senza alcuna regola, in cui le troppe liberalizzazioni rischiano di diventare vere e proprie schiavitù” ha aggiunto don Carmine “e nessuno nella Chiesa cattolica pensa di regolare le aperture festive delle attività commerciali la gente per promuovere la messa domenicale, che è un precetto ma non un obbligo. È in gioco il modello di sviluppo, la qualità della vita delle persone e delle città: siamo convinti che dal basso, dalla partecipazione diretta e attiva delle persone, ci sia la possibilità di costruire un nuovo modello”.
I dati diffusi dal centro studi di Confesercenti Abruzzo d’altronde dicono che il 2012 si avvia a macinare record negativi sul fronte della tenuta del commercio nella regione. Fra gennaio e settembre hanno chiuso in Abruzzo 2.295 aziende, non compensate dalle 1.220 nuove aperture, per un saldo negativo di oltre 1.000 aziende. Il saldo peggiore, in questi primi nove mesi, a Pescara (-446), seguita da Chieti (-215). Teramo (-214) e L’Aquila (-199). Male i consumi delle famiglie (-2,2 per cento rispetto allo stesso periodo del 2011), concentrati soprattutto nei beni durevoli (-8,1%) ed in quelli semidurevoli (-4,4%), mentre a tenere è solo il segmento dei servizi (-0,3%).
“Chi guadagna mille euro al mese non ne spende di più se i centri commerciali restano aperti di domenica” ha concluso Orfanelli “dunque non si tratta di agevolare i consumi ma solo di favorire alcuni concorrenti più forti a discapito di altri. I consumi riprendono se riparte la domanda interna, non se si sta aperti di più”.