Quando decisi di scrivere Abruzzo color petrolio non lo feci con l’intento di ripercorrere le tappe della vicenda petrolifera abruzzese, allo scopo di raccontare attraverso una analisi retrospettiva tutto quel che fino ad allora era accaduto sul piano legislativo. Il mio proposito era un altro: denunciare l’esistenza di un quadro normativo nazionale e regionale assolutamente ambiguo ed indicare un percorso possibile, compatibile sia con le prescrizioni del diritto costituzionale sia con quelle del diritto europeo. In questo senso, il libro voleva essere un punto di partenza per la discussione, non certo un punto di arrivo. A distanza di pochi mesi dalla sua uscita mi trovo, tuttavia, a dover constatare che quell’invito è caduto nel vuoto. I cittadini manifestano in spiaggia, non davanti al Parlamento. E la classe politica non li sostiene né in spiaggia, né in Parlamento. Provo a riassumere la sostanza di questo discorso (e mi scuso della citazione). Nel libro, a pag. 20, scrivevo: “Puntualmente, ogni qual volta provo a convincere me stesso e gli altri della necessità di un intervento legislativo in materia da parte della Regione, c’è sempre qualcuno che mi oppone che le leggi vivono nell’alto dei cieli, mentre su questa terra la questione principale atterrebbe al Centro Oli di Ortona e più in generale alle diverse concessioni rilasciate (…). Niente di più inesatto. I due piani sono senz’altro connessi e meritano entrambi attenzione; pur tuttavia essi reclamano azioni completamente differenti. (…). Del resto, anche qualora si riuscisse ad ottenere la revoca di un atto di concessione o di autorizzazione, essa riguarderebbe pur sempre un caso specifico e mai la generalità dei casi”. Con questo intendevo sottolineare una cosa molto semplice: contrastare attraverso ricorsi amministrativi le diverse concessioni rilasciate è senz’altro opportuno, ma non sufficiente. Il rilascio di un permesso, di una autorizzazione o di una concessione avviene, infatti, sulla base di una legge. Tra l’atto legislativo e l’atto amministrativo vi è, per così dire, un necessario rapporto di causa ed effetto. Va bene tentare di debellare l’effetto, ma occorre agire anche sulla causa. Se ci limitiamo a combattere l’effetto e non la causa, non andremo molto lontano: talvolta ci troveremo a gioire del fatto che una concessione verrà negata; talaltra ci dispereremo perché una concessione sarà rilasciata. Su questo punto, però, ho maturato una mia personale convinzione: occorre effettuare un salto di qualità.
Enzo Di Salvatore
Docente di diritto costituzionale – Università degli Studi di Teramo