Pescara. “A megghiu parola è chidda ca nun sa dici”. La parola migliore è quella che non viene pronunciata. Come dire, “dammi retta, meglio tacere”. Sonia Alfano ricorda questa frase. Ma lei a questo detto non crede. Come il padre Beppe, corrispondente per ‘La Sicilia’, ucciso dalla mafia diciotto anni fa.
Informazione, giustizia e legalità i temi al centro dell’incontro di questo pomeriggio all’auditorium De Cecco di Pescara – ‘Il Paese Silente’ – organizzato dalla stessa europarlamentare dell’Italia dei Valori e Carlo Costantini, capogruppo IdV alla regione Abruzzo. Insieme ai giornalisti Luca Prosperi e Giuseppe Caporale, al magistrato Giovanni Cirillo e a Loris Mazzetti, giornalista e capostruttura di RaiTre – oltre che autore della fortunata trasmissione ‘Vieni via con me’ – si cerca di capire lo stato di salute del paese attraverso la categoria che dovrebbe raccontarlo. E la situazione, a quanto pare, non è delle più confortanti.
“Vorremmo parlare di lavoro, immigrazione, energia, istruzione, ma il sistema dell’informazione in questo paese è riuscito ad assopire la capacità di analisi del popolo, ad allontanare la gente dalle questioni importanti” afferma Sonia Alfano.
“Parte di questo paese oggi è silente” prosegue. “Sembra che nessun problema lo riguardi. E così, dopo trent’anni la missione di Gelli, Berlusconi e Andreotti può dirsi compiuta: il popolo italiano è addormentato e azzerato nell’autostima”.
Ci va giù duro la Alfano. Anche con il ministro dell’istruzione Gelmini, che starebbe compiendo un attentato alla scuola. Con il ministro dell’interno Maroni, che sbandiera gli arresti dei latitanti. E con una politica infestata da pregiudicati che ha perso la capacità di parlare alla gente.
E allora l’invito a non voltarsi dall’altra parte, a non essere complici del silenzio. Ad ambire ad un’informazione sana.
E poi l’Abruzzo. Al leghista Borghezio – che ha recentemente definito l’Abruzzo un peso morto – ricorda che “a l’Aquila si stavano ancora piangendo i morti quando Bertolaso e Berlusconi erano già intenti a pensare a chi assegnare gli appalti”. Ricorda “uno stato pronto come un avvoltoio a prendere tutto ciò che sarebbe arrivato per una popolazione nient’affatto un peso morto, ma piena di dignità”.
L’Abruzzo e il caso L’Aquila monopolizzano la discussione. Un perfetto esempio di come la politica e gli interessi possono influenzare l’informazione. Creando un sistema in cui, afferma Mazzetti “ci si è assuefatti all’autocensura. In cui la categoria dei giornalisti non ha più gli anticorpi per difendersi”.
Un sistema in cui, per il giudice Giovanni Cirillo “si ha il dovere di tenere la schiena dritta e preservare l’indipendenza, il vero tratto di affinità tra magistrati e giornalisti”.
Al giornalista abruzzese Giuseppe Caporale il compito di spiegare la difficoltà di raccontare il dopo terremoto. “La fatica di rompere quell’immagine falsa dell’Aquila che circola per il paese. Un’immagine costruita anche dai giornalisti, per pigrizia o malafede. La difficoltà di ogni volta che si prova a raccontare i fatti, a mettere in relazione notizie e poi si finisce in un’aula di tribunale”.
Su Borghezio. “Oltre all’indignazione per le sue parole” dice Caporale “ricordo lui e Bossi in visita all’Aquila, contenti per le aziende bergamasche che stanno costruendo nell’area. Ricordo l’atteggiamento ossequioso di quegli imprenditori verso di loro”.
“Ho visto anche cose positive” prosegue Caporale. “Come un magistrato che indaga silenziosamente sul crollo di duecento edifici e sul mancato allarme della Protezione Civile”.
Anche Costantini sull’Aquila. “Con la responsabilità della politica e dell’informazione” afferma “non si voleva far sapere cosa stava succedendo. All’Aquila è cominciata la costruzione, non la ricostruzione. Il cemento armato sta provocando un enorme danno culturale, oltre che materiale, deformando la struttura urbanistica della città e stravolgendone il tessuto commerciale”.
“È un momento di straordinaria difficoltà, non è facile scuotere le coscienze” conclude Costantini. “Ma dobbiamo recuperare la speranza in un moto di ribellione contro un sistema dell’informazione che non funziona”.
Pierluigi Farnese