Nel parafrasare il titolo di un libro del 1994 di Eugenio Scalfari, mi imbatto nel solecismo in esso contenuto. Potrei correggere e digitare un’altra frase, ma non lo farò. In giro, c’è di peggio. Nella puntata di “Ballarò” del 26 marzo 2013, l’on. Paolo Tancredi, in una nobile estemporaneità accostabile alla “mi faccio i cazzi miei”, del senatore Antonio Razzi, ha dichiarato che avrebbe fatto politica fino a quando sarebbe stato conveniente.
Per se stesso e per la propria famiglia. Reinterpretata in un post sulla pagina ufficiale di Facebook, da un “esegeta del pensiero tancrediano”, Gianni Chiodi, il presidente della Regione Abruzzo: “Voleva dire che puoi fare politica (che è una sua passione) fino a quando il farla non mette a repentaglio la possibilità di sostentamento della tua famiglia, altrimenti torni a fare il tuo lavoro se lo hai ovviamente. Il problema è che molti non lo hanno e non tutti hanno le zie o le nonne” (29 marzo 2013 alle ore 23.30)
Sono un dipendente in cassa integrazione della società in house e in liquidazione volontaria, “Abruzzo Engineering”. Seguirà una raccolta cronologica delle esternazioni del presidente della Regione Abruzzo che potrebbero pesare negativamente sul futuro professionale delle maestranze dell’azienda pubblica. Dopo aver letto attentamente tutte le notizie, esortarei le autorità competenti a interessarsi del caso politico-economico riguardante un presunto sperpero di denari pubblici. In più, come dipendente della Abruzzo Engineering, non mi va di passare per “mela marcia”, tanto meno per un “raccomandato”. Io provengo da una graduatoria del 1998 dell’Ufficio di Collocamento di Teramo. Quindi, chiedo che venga fatta luce su tutto quello che il presidente Chiodi ha indicato pubblicamente. E se dovesse essere confermato, a dirla come nelle aule dei tribunali, tutto “l’impianto accusatorio” nei confronti della Abruzzo Engineering (e non ho motivo di dubitare della parola del presidente) richiedo una tutela maggiore per i miei diritti. Iniziamo così, dal 18 novembre 2010. Il governatore Chiodi, sul sito istituzionale della Regione, dichiara che è ormai finito il tempo dei privilegi e che Abruzzo Engineering nasce da un sistema del passato molto discutibile, da questioni eticamente censurabili, che hanno interessato la politica del passato.
E poi ancora, nel dicembre 2010, si apprende dai media che il presidente Chiodi ha pensato di chiedere un parere alla procura dell’Aquila su due inchieste che hanno sfiorato la Abruzzo Engineering e che vedrebbero indagato finanche il direttore generale.
Quindi, fino ad adesso abbiamo in essere una partecipata dalla Regione nata in maniera discutibile ed eticamente censurabile, almeno a detta del governatore, e con il direttore generale indagato dalla procura. Pochi mesi appresso, una preoccupante ammissione. Dal quotidiano “Il Centro” del 27 marzo 2011 si legge che la Abruzzo Engineering è stata posta in liquidazione per i 19 milioni di euro di perdita e che la Regione non ha nessuna intenzione di provvedere al mantenimento di un “carrozzone”, in cui le assunzioni sono state fatte ad personam per accontentare tutte le parti politiche e sindacali. Con una annotazione al vetriolo riferita ai dipendenti della società che, sempre secondo quanto dichiarato da Chiodi, non starebbero difendendo il loro posto di lavoro ma un loro privilegio.
L’anno successivo, il 5 aprile 2011, con un colpo di coda dei liquidatori della società partecipata, arriva via web la stigmatizzazione Urbi et Orbi su certa stampa, che riserverebbe una particolare attenzione alla Abruzzo Engineering solamente quando è definita un “malefico carrozzone” e mai per solidarietà e vicinanza. Poi, il fuori binario di uno dei liquidatori, il signor Vincenzo Genovesi, che allude alla presenza di una “mela marcia” tra le alte professionalità dei lavoratori.
Perché è permesso a un vertice aziendale adombrare e inficiare con epiteti molto offensivi, quali “mela marcia”, un lavoratore (o più di uno) e, nello stesso tempo, esaltare le professionalità degli altri? Perché questa “discriminazione”, per un “carrozzone clientelare?”. A fine anno 2011, iniziano ad arrivare i primi risultati positivi sulla vicenda. Sempre su “Il Centro” 23 ottobre, si legge che in soli due anni a mezzo si è riusciti in Regione a ridurre i dirigenti del 17% e i dipendenti del 13% e messo in liquidazione agenzie e società come Abruzzo Engineering volute dai partiti politici solo per ricercare consenso.
Ma tutto questo non soddisfa ancora il presidente Chiodi, paladino della “meritocrazia”, che sulle pagine de “Il Sole 24 Ore” del 31 gennaio 2012 attacca di lama la Abruzzo Engineering sulla riduzione del digital divide e del gap tecnologico, una special mission che in passato avrebbe dovuto portare a compimento. Il governatore conosce bene il problema e con “Il Sole 24 Ore” snocciola le cifre sulla banda larga che, anziché potenziare il protocollo informatico, certificazione dei documenti e velocità dello scambio dati, grava per 106 milioni sulla testa degli abruzzesi. Tutto dovuto all’incapacità di assolvere al ruolo della società in house, che ha avuto sino a 265 dipendenti, assunti perlopiù in maniera clientelare e senza essere in possesso di un reale know how. “Quella di Abruzzo Engineering è una delle vicende più torbide nella storia della Regione Abruzzo”. Sul quotidiano “Il Messaggero”, del 27 novembre 2012, ha così affermato la più alta carica politica della Regione Abruzzo.
Per continuare su “L’Occidentale” del 3 Febbraio 2013, sempre in crescendo e senza giri di parole, per ripetere l’ennesima volta che la Abruzzo Engineering è nata molto male, con finalità anche assistenziali per riassorbire gli LSU (lavoratori socialmente utili) provenienti dagli uffici di collocamento e non dalle segreterie di partito o dei sindacati. Poi si è trasformata in una struttura funzionale alla politica, alimentata da fondi pubblici, che ha continuato ad assumere dipendenti, ma senza finalità. Una operazione politica riuscita perché coinvolge tutti, destra e sinistra, favorendo clientele e consenso, con fatture a carico degli abruzzesi. La chiosa: i sindacati, la politica, i partiti e le strutture burocratiche degli enti pubblici hanno alimentato questo sistema. Perché la Regione non è corsa ai ripari facendo proseguire gli aventi diritto per il percorso istituzionale intrapreso negli anni 1997-1998 attraverso gli uffici di collocamento? Alcuni lavoratori sono come gli gnocchi rimasti appiccicati sul fondo della pentola. Ormai spiaccicati sul fondo, inutilizzabili, in attesa di essere grattati via dalla retina per i piatti. Solo quelli emersi, visibili e belli gonfi saranno ben serviti. La politica vincente di questo sconsiderato ultimo trentennio. In due parole, il “thatcherismo”. Dopo la politica della gnocca, ecco qua la politica dello gnocco.
Domenico A.