Ce lo narra Geremia Mancini, presidente onorario di ‘Ambasciatori della fame’.
Michele Leone nacque a Pettorano sul Gizio l’8 giugno del 1909 da Giovanni, piccolo imprenditore edile, ed Anna Federico. La leggenda vuole che sia stato un vecchio circense, giunto a Pettorano per una esibizione, che vedendolo litigare con un ragazzo più grande di lui gli disse: “Hai fegato, muscoli e faccia tosta per diventare qualcuno sul ring”.
Sta di fatto che Michele, contro il parere dei genitori, iniziò ad appassionarsi prima alla boxe e poi alla lotta libera. Lasciò Pettorano sul Gizio ed iniziò a combattere come “lottatore” prima in Italia e poi in giro per l’Europa.
Negli anni ’30 gli arrivò una proposta, che lui accettò, per tenere una serie di combattimenti in Argentina. Ed è qui che conobbe un manager che lo indirizzò verso quello strano e spettacolare sport che lo avrebbe reso ricco e famoso: il wrestling.
Arrivò negli Stati Uniti, navigando sulla nave “Normandie”, all’inizio del 1938 per stabilirsi a New York. Già il 2 maggio incontrò, all’Hippodrome di New York, Mike Kilonis e lo battè. Il 28 giugno, dello stesso anno, al “Fort Hamilton Arena” incontrò il campione John “Dropkick” Murphy. Iniziò così una carriera densa di successi. Sfidò tutti i massimi campioni del momento e quasi sempre li sconfisse.
Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale diventò, per Michele Leone, un’occasione. Rivendicava ad ogni incontro la sua italianità e questo indispettiva gli americani. Amava dire “Vincerete anche la guerra ma non batterete, mai, questo italiano”.
In America, durante il periodo bellico, si continuò tranquillamente a combattere e anche per l’assenza di alcuni campioni ( impegnati i guerra) nacque il “mito” di questo campione con il mantello ( Leone amava presentarsi sul ring indossando un mantello rosso). Rimangono indimenticabili i combattimenti contro Joe Turner, “Gentleman” Lou” Plummer, Milo Steinborn, Tommy O’Toole, Hans Kampfer.
Ad ogni suo incontro erano migliaia gli spettatori e sempre con la numerosa ed entusiastica partecipazione di tantissimi italoamericani. Finita la guerra, con la voglia degli americani di tornare a sorridere, il wrestling assurse a sport nazionale. La televisione, che vendeva gli spazi pubblicitari ad altissime cifre, fece il resto.
Nel 1948 Leone tornò in Europa per tenere alcune esibizioni e colse l’occasione per far visita alla “sua” Pettorano. Nell’ottobre del 1949 Michele Leone scelse Santa Monica, città balneare della California, come sua residenza e qui diverrà per tutti “ Baron” (probabilmente per la sua meravigliosa residenza). Il 22 novembre del 1950 Leone, che era oramai una richiestissima “Star”, dinanzi a 10.400 spettatori affrontò, battendolo, il campione Enrique Torres.
Grazie alle sue apparizioni televisive, “Baron” Leone, divenne un personaggio richiesto da tutti per pubblicità, beneficenza, inaugurazioni. Combattè vincendo conto Dave Levin e Black Guzman. Quando sconfisse Leo Garibaldi, i biglietti erano esauriti già da tempo, e dinanzi ai negozi televisivi che diedero la diretta dell’incontro si accalcarono migliaia e migliaia di persone.
“Baron” Leone alle sue tifose regalava una piccola orchidea ed una foto con il suo autografo. Il 21 maggio 1952 “Baron” Michele Leone scrisse, pur perdendo dopo un verdetto assai discusso, una pagina della storia del wrestling .
Nello scontro mondiale con Lou Thesz, al “Gilmore Field” di Los Angeles, si radunarono bel 25.000 spettatori per un incasso record. Quando abbandonò il wrestling, “Baron” Leone si ritirò nella sua casa di Santa Monica. Una casa con una grande cupola che tutti, come già detto, chiamarono “Il Castello del Barone”. La struttura è tutt’ora esistente.
Nei suoi ultimi anni “Baron” Leone viaggiò spessissimo con l’amata moglie Billie. Ma continuò anche a tenere numerose apparizioni personali in eventi sportivi, televisioni e feste dove intratteneva le folle ricordando le storie dei suoi incontri e continuando a firmare centinaia di autografi.
Morì il 26 novembre del 1988. Qualche giorno prima era stato investito da un auto mentre faceva ritorno a casa.
Anni dopo la moglie “Billie” fece, in onore del marito, una donazione di 100.000 dollari al “Santa Monica History Museum”.
Con questa motivazione: “”Mio marito si trasferì a Santa Monica nel 1949 e da allora iniziò una storia d’amore con questa città. Amava tutto ciò che riguarda Santa Monica, le persone, i suoi paesaggi, il molo e soprattutto il sole, la spiaggia e l’oceano.”