Se il gioco diventa un problema si può chiedere aiuto
Nella Quarta versione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-IV) il gioco d’azzardo patologico è classificato all’interno del capitolo legato ai disturbi caratterizzati da discontrollo degli impulsi.
In questo manuale è definito come comportamento persistente, ricorrente e maladattivo di gioco d’azzardo, che compromette le attività personali, familiari o lavorative. Da sempre è stato considerato un vizio, tuttavia da molto tempo ormai se ne considerano gli aspetti psicopatologici gravi; nonostante le evidenze patologiche e i danni in termini affettivi, professionali ed economici che ne derivano, gli Stati continuano ad incentivare il gioco d’azzardo per poter ricavare notevoli redditi[1].
Il nuovo DSM-V includerà, insieme ai disturbi da uso di sostanze, anche il disturbo da gioco d’azzardo; questa nuova classificazione si è basata in parte su alcune recenti evidenze scientifiche secondo cui nelle persone che sono dipendenti dal gioco d’azzardo il cervello cambia in modo simile a quello dei tossicodipendenti, e che sia tossicodipendenti sia giocatori d’azzardo patologici traggono beneficio dalla terapia di gruppo e da una graduale disassuefazione.
È importante analizzare nel dettaglio la funzione del gioco e dell’azzardo e la situazione patologica di gioco d’azzardo: il gioco rappresenta un’attività primaria e indispensabile, che stimola la fantasia, modula l’aggressività, migliora le capacità adattive, è fondamentale dunque per una sana strutturazione della personlità individuale. L’azzardo, invece, è inteso come assunzione di rischio ed è importante per la realizzazione di progetti evolutivi, fa dunque riferimento alle competenze specifiche e ad un attento esame di realtà.
Chi gioca d’azzardo è disposto a mettere a richio i valori di vita associando l’esito alla fortuna, si tratta di una rappresentazione della progettualità mortificata dalla percezione di fragilità interiore, inadeguatezza dei livelli di competenza.
I criteri per la diagnosi di gioco d’azzardo patologico (DSM-IV TR) prevedono: coinvolgimento abituale nel gioco o nella ricerca di denaro per giocare; spesso il soggetto gioca per somme maggiori o più a lungo rispetto a quanto preventivato; bisogno di aumentare la consistenza o la frequenza delle scommesse per raggiungere lo stato di eccitazione desiderato; irrequietezza o irritabilità se non si può giocare; ripetute perdite di denaro al gioco e continui ritorni a giocare per rifarsi delle perdite; reiterati sforzi per giocare meno o smettere di giocare; il soggetto spesso gioca anche quando dovrebbe adempiere ad obblighi sociali o lavorativi; il soggetto abbandona importanti attività sociali o ricreative per giocare; il soggetto continua a giocare anche se non è in grado di pagare debiti sempre più ingenti.
Nel tempo aumentano i sentimenti di intolleranza rispetto alle perdite di denaro o verso la cosidetta sfortuna, che inducono al bisogno urgente di rifarsi, detto chasing: si abbandonano le proprie regole e strategie di gioco e con forte impulsività si cerca in ogni giocata una notevole vincita; aumenta la quantità di tempo e di denaro investiti, dunque l’accumulo di debiti sale così come si ha un prevalente umore depresso ed un aumento dell’impulsività. Per via della grave situazione debitoria il soggetto in genere sviluppa uno stile di vita inaffidabile e sfuggevole, con perdita di credibilità e lucidità mentale che causano problemi sul lavoro, conflitti familiari, rottura di legami amicali.
Da una revisione della letteratura è possibile pensare ad una associazione tra modelli psicologici e sistemi neurobiologici ritenuti collegabili al gioco d’azzardo patologico: alcuni autori, nell’ambito delle prospettive comportamentali e di quelle dell’apprendimento sociale, si sono concentrati sul ruolo del rinforzo diretto e vicario nello sviluppo e nel mantenimento delle attività di gioco d’azzardo; gli autori della corrente cognitiva, invece, si sono focalizzati sugli errori di elaborazione delle informazioni, che amplificano le stime soggettive di probabilità di vincita o che altrimenti promuovono la persistenza al gioco; altri studiosi hanno postulato l’importanza di tratti temperamentali, quali impulsività, ricerca di sensazioni, nevroticismo, estroversione, tratti di personalità antisociale nello sviluppo del gioco d’azzardo patologico[2].
Le strade per la riabilitazione possono essere molteplici (spesso associate alla terapia farmacologica) per lo più centrate sulla cessazione del gioco: in particolare programmi residenziali, trattamenti ambulatoriali di gruppo, counseling individuale. Tuttavia la maggior parte delle strategie rientra nei meccanismi cognitivo comportamentali e molti sono gli interventi centrati su questo tipo di approccio. Fondamentale però è la consapevolezza del problema da parte del giocatore d’azzardo patologico, che richiede aiuto in modo diretto e che per primo riconosce di avere un problema che interferisce sostanzialmente e negativamente sul suo quotidiano.
Dott.ssa Luisa Del Nibletto Psicologa
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[1] Balestrieri, M., Bellantuono, C., Berardi, D., Di Giannantonio, M., Rigatelli, M., Siracusano, A., Zoccali, R. A. (2007), Manuale di Psichiatria, Il Pensiero Scientifico Editore.
[2] Grant, J. E., Potenza, M. N. (2004), Il gioco d’azzardo patologico. Una guida clinica al trattamento, Springer Verlag Italia, 2010.