Chieti da ‘Regia’ Metropoli a ‘Global’ Tendopoli

Chieti da “Regia” Metropoli a “Global” Tendopoli, sembra il destino che l’Arcidiocesi teatina, ed in particolare il suo Arcivescovo Mons. Bruno Forte, vorrebbero scrivere per la città di Chieti.

 Il potere del presule teatino che nei secoli ha influenzato la storia della città, imprimendole dalla fine dell’alto Medioevo fino all’evoluzione dello Stato moderno il ruolo di Capitale politico – amministrativa dell’Abruzzo “Citra” (prima col Gastaldato longobardo,poi con la  Conte e il Marchesato franco, passando per il  Giustizierato del Regno di Napoli, fino ad arrivare alla Provincia dal 1806 fino ai giorni nostri) con lo sfascio della sovranità territoriale dello Stato italiano, sabotato dalle lobby dell’alta finanza internazionale, ha deciso ancora una volta di intromettersi e dire la sua sulle sorti della città.
I Vescovi teatini hanno svolto un ruolo importante nella difesa della popolazione sotto le invasioni barbariche mentre si sgretolava l’Impero Romano d’Occidente, hanno svolto un ruolo altresì determinante nella rinascita di Chieti dopo l’incendio della città da parte dei Franchi di Pipino Carlomanno e nella successiva influenza politica dell’Urbe teatina sul territorio d’Abruzzo “Citra” fino all’età contemporanea dove si vede ancora l’Arcivescovo teatino difendere la popolazione dalla furia degli eventi bellici della Seconda Guerra Mondiale con la vicenda di “Chieti città aperta”, dove la storia si mischia alla leggenda.
Questa volta, però, sembra che l’ingerenza che la Diocesi teatina vuole esercitare sulle sorti della città di Chieti non sia stata gradita dalla maggior parte della cittadinanza che pare essersi svegliata dagli effetti tranquillizzanti della camomilla teatina e sembrerebbe pronta ad atti clamorosi di protesta per contrastare la volontà dell’Arcivescovo, Mons. Bruno Forte.
Infatti, è notizia di questi giorni che la ministra per l’integrazione, la Congolese Cécile Kashetu Kyenge, arriverà a Chieti il prossimo 10 marzo, ospite della tavola rotonda dal tema “Immigrazione/Integrazione”, organizzata dalla Caritas diocesana.
Probabilmente, nella visita teatina della ministra, si inizierà a discutere del progetto, molto discusso negli ultimi mesi sotto i portici di Corso Marrucino, di realizzare un Centro di accoglienza per gli immigrati (Cto) all’interno della caserma Berardi, sede dell’ex 123° reggimento Fanteria Chieti in Via Ferri, che dopo appelli, proteste e petizioni, ha purtroppo ammainato l’ultima bandiera tricolore a Settembre 2012 a causa del riordino delle strutture militari per la Spending Review voluto dal Governo “Monti”. E da allora, la Caserma Berardi, è uno dei tanti, innumerevoli contenitori vuoti della città alta, in attesa di una ricollocazione.
Così l’aristocratica Chieti, la “regia” metropoli abruzzese,la polis fondata secondo leggenda dal “Pelide” Achille, da città di storia, arte e cultura, come venne definita alcuni anni fa, rischia di trasformarsi in  un punto di accoglienza per i migranti extracomunitari come l’isola di Lampedusa, una evenienza che la maggior parte della popolazione locale vorrebbe assolutamente evitare per non stravolgere,anzi distruggere definitivamente, una struttura  cittadina con una precisa identità storica e culturale, costruita in oltre tre millenni di storia che fanno di Chieti, l’antica Teate, una delle città più antiche d’Italia.
Dunque, una presa di posizione della Diocesi teatina, sicuramente impopolare, non voluta dalla cittadinanza, che sarebbe praticamente costretta a ” lasciare Chieti Alta alla mercé di queste orde di vagabondi che sbarcano sulle coste italiane dopo traversate disumane in mare abbagliati dal miraggio del Paradiso Terrestre dell’Occidente capitalista.
Viaggi della “speranza” che finora hanno ucciso decine di migliaia di  persone in cerca di una vita migliore. E proprio il parroco di Lampedusa, Don Stefano Nastasi, sarà ospite dell’Arcivescovo Bruno Forte insieme alla ministra Kyenge e al sottosegretario Giovanni Legnini nella quinta edizione della tavola rotonda “Check point Italia: dal sud del mondo in cerca di speranza”.
 In questo incontro probabilmente verrà anche deciso se rendere o meno Chieti un centro di accoglimento profughi come Lampedusa come sarebbe auspicato dall’Arcidiocesie avversato dalla popolazione.
Probabilmente, una scelta dettata da strategie di proselitismo della Chiesa del XXI secolo che fa  del Terzo e del Quarto Mondo la nuova frontiera da catechizzare. Ma, anche una scelta per ragioni economiche quali il business legato a tremila persone “ospiti” quotidianamente in città che vivrebbero quotidianamente a Chieti, con tutti gli annessi e connessi; per non parlare della pioggia di denaro che sicuramente scenderebbe dal cielo. Ma, a quale prezzo avverrebbe tutto ciò? E’ una scelta inevitabile?
A tal proposito, va sottolineato che opporsi a questa possibile scelta, non è un fenomeno legato alla xenofobia o al razzismo, ma alla sopravvivenza stessa della comunità teatina.  Difatti, trasformare Chieti in un Cto come Lampedusa, distruggerebbe pressoché sicuramente le fondamenta stesse della città di Chieti, trasformandola in un “Check point” di profughi, una città che probabilmente si riprenderebbe in parte economicamente, ma che perderebbe completamente la sua essenza, diventando una novella Babilonia. Conseguenza devastante che si vorrebbe evitare ad ogni costo.
Molto meglio sicuramente la cittadella della giustizia e un nuovo polo universitario sul “Colle”; anche la base Nato sembrerebbe una scelta molto più gradita rispetto a quella dei profughi.
Dal canto suo,il Sindaco, Avv. Umberto Di Primio, ha fatto sapere la sua contrarietà (almeno per ora) al centro per l’accoglimento dei migranti,a Chieti, tranquillizzando nel contempo la popolazione; ma considerando il grande potere che la Chiesa ha in città, e l’enorme flusso di denaro che ruota intorno alla vicenda, non c’è da mettere la mano sul fuoco sul fatto che alla fine la proposta di Mons. Bruno Forte non sarà accolta.
Si parla sempre di uno sviluppo di Chieti, di una modernizzazione della città che sia in linea col suo prestigioso passato, di progresso nella tradizione, ma se si pensa di uniformare Chieti ad altri centri senza una precisa identità né cittadina, né urbana come alcuni limitrofi centri costieri ( ad esempio Montesilvano), ci si sbaglia di grosso, non siamo di certo sulla strada giusta per rilanciare questa città, ancora di più se si tiene conto che i contenitori vuoti di certo non mancano, come anche eventuali altre soluzioni alternative al centro di accoglienza per gli extracomunitari.
Ora la palla passa alle autorità governative e amministrative che possono decidere di venire incontro almeno per questa volta alle esigenze del popolo o continuare ad ascoltare solo quelle dei poteri forti.
Di certo, se il centro di accoglimento profughi si farà, Chieti da “regia” metropoli, diventerà “global” tendopoli. Fa rima, ma di certo non sarà più la stessa cosa.
Tratto da www.censorinoteatino.blogspot.it

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