Antonello Fassari in Abruzzo con ‘Che amarezza’: le anticipazioni dell’attore e regista

Chieti. Antonello Fassari è tornato in teatro con “Che amarezza”, spettacolo prodotto dalla Stefano Francioni Produzioni, diretto e interpretato da Antonello Fassari con testi dello stesso Fassari e Gianni Corsi, musiche di Davide Cavuti. Nei prossimi giorni lo spettacolo avrà due tappe abruzzesi: a Gessopalena (27 ottobre – Teatro Finamore) e Avezzano (9 novembre – Castello Orsini).

 Antonello Fassari nella serie “I Cesaroni” ha interpretato il personaggio di Cesare, un uomo semplice che non trova espressione migliore per manifestare il suo sdegno se non quella di: “Che amarezza”.

 L’attore e regista romano ci ha gentilmente concesso un’intervista.

 

– Antonello Fassari, doppia tappa in Abruzzo, a Gessopalena e Avezzano, con “Che amarezza”. Che cosa c’è in serbo per il pubblico con questo spettacolo?

– “Il titolo viene dal tormentone di Cesare Cesaroni, che era un protagonista della serie ‘I Cesaroni’ il quale si era inventato questo ‘Che amarezza’ che ha avuto molto successo, nel senso che poi ho visto all’epoca in banca scrivevano dietro la propria scrivania ‘Che amarezza’, anche alle poste, insomma è stato veramente un gran successo. Ovviamente questa amarezza parte molto, ma molto da lontano, a parte che oggi nel quotidiano di amarezza ce ne abbiamo in abbondanza. Io faccio un excursus, parto dall’antica Grecia per entrare in questo concetto filosofico e finisco con gli algoritmi, è uno spettacolo in sette quadri e mezzo partendo anche dalle mie origini, nel senso che vengo da una famiglia molto particolare, la racconto e da lì andiamo avanti con quello che è stato il percorso della mia carriera, ho lavorato con tanti registi tra cui Eduardo e poi si va avanti fino a questo mondo contemporaneo in cui gli dei sono stati sostituiti dal web”.

– Questo spettacolo prende spunto appunto dal suo personaggio interpretato nella serie “I Cesaroni”. Se e quanto si rispecchia in questo personaggio? Con Cesare Cesaroni che tipo di personaggio si vuole rappresentare all’interno della società e qual è il suo ruolo?

– “Nello spettacolo io faccio i conti proprio con Cesare Cesaroni, gli faccio il funerale nel senso che è diventato una maschera un po’ ingombrante nei confronti dell’attore, perciò abbiamo un Cesare Cesaroni fuori campo che mi punzecchia, mi sollecita finchè alla fine io non gli faccio un bel funerale perché mi ha stufato. Diciamo che potrebbe essere una cosa comune incontrare nella propria carriera un personaggio forte che ad un certo punto ha creato anche una certa identificazione con il pubblico, non capita solo a me, e quando capita bisogna farci un po’ i conti con questi personaggi e io ci faccio i conti e rimane Cesare fuori campo l’elemento comico di tutto lo spettacolo”.

– Secondo lei qual è stato il segreto del successo de “I Cesaroni” e del suo personaggio?

– “’I Cesaroni’ sono un format spagnolo che la produzione Bixio comprò tantissimi anni fa, così come ‘Il medico in famiglia’ che è la stessa produzione. Diciamo che gli spagnoli in questi anni si sono affermati proprio dietro i format che hanno costruito perché hanno investito molto nella scrittura, per cui tanti format sono presenti non solo in Italia ma in giro. Penso che il successo sia dovuto al fatto che la commedia ha mantenuto un impianto realistico, per cui questa serie che parla di una famiglia allargata è stata vista anche in regioni che non seguono le fiction, io queste cose le ho scoperte dopo, non le sapevo che ci fossero delle regioni che non guardavano le fiction, ci hanno guardato anche in Veneto e in Sardegna che erano quelle un po’ più restie. Il successo che abbiamo avuto vale per il Nord, per il Centro e per il Sud, guardando i risultati possiamo dire che ci hanno voluto tutti bene. Credo che dipendesse da una serie di cose, si è creata una serie di identificazione con gli adulti, così come con i ragazzi. I ragazzi, quando siamo partiti che erano piccoli, ci facevano una serie di domande che spaziavano su tutto: si parlava di omosessualità, di fecondazione assistita. Insomma una serie di argomenti abbastanza nuovi per l’Italia e abbiamo avuto infatti anche delle reprimende dall’organismo che riguarda e controlla i contenuti per i minori, ma anche lì abbiamo vinto perché ci sono state delle risposte dei genitori che anche attraverso ‘I Cesaroni’ riuscivano ad affrontare delle domande difficili o alle quali non avrebbero saputo rispondere dei loro figli. Quindi credo che ci sia stata un’adezione a 360°. La serie originale spagnola è ‘Los Serrano’, lì è stato molto abile il produttore nel senso che I Serrano erano dei signori che avevano un alimentari e questa serie era molto improntata sul chick e sul trash. Invece da noi è diventata una famiglia di osti, secondo la tradizione romana, avevamo una bottiglieria e lì avvenivano tutte le vicende. La bottoglieria perché la ristorazione romana nasce così, con degli spacci che davano il vino e poi i romani portavano i cibi propri e da lì è partita la tradizione dell’osteria”.

– Come dicevamo prima, questo spettacolo nei prossimi giorni avrà due tappe in Abruzzo e ce ne sarà un’altra a fine marzo. Cosa si aspetta invece lei dal pubblico abruzzese e che impressioni aveva avuto se si era già trovato in precedenza dalla nostre parti?

– “Io con il Teatro Stabile de L’Aquila ho messo su un testo che si chiama ‘Per ciò che è stato’ di Mauro Santopietro che abbiamo fatto a L’Aquila e che abbiamo portato ad Avezzano, adesso torno ad Avezzano per uno spettacolo completamente differente. Non mi aspetto nulla perché per me il Teatro è sempre una verifica, dove siamo stati è andata sempre bene e penso che vada bene anche in Abruzzo. Non do mai nulla per scontato, anzi mi servono le repliche anche per vedere quello che va, quello che non va, se c’è da mettere a posto qualcosa. Già è successo in queste repliche che abbiamo fatto perché è un tipo di spettacolo che parla di contemporaneità, se c’è una notizia importante anche dell’ultimo minuto cerco di infilarla dentro. È una verifica continua, d’altronde il pubblico abruzzese è abituato al Teatro, perché è vero che faccio uno one man show, ma non seguo un approccio cabarettaro, quindi ci saranno dei pezzi recitati da attore e l’introduzione di un po’ di chiacchiere”

– Nell’arco della sua carriera, tra Cinema, Teatro e Televisione, è stato impegnato sia in commedie che in ruoli drammatici. Come riece a coniugare questi due diversi registri, che presumo richiedano anche un diverso approccio?

– “Questo penso che appartenga alla preparazione della mia generazione che non divideva il comico e il tragico, uno era un attore e basta, poi a seconda delle situazioni in cui si trovava il personaggio relativo a quello che stava rappresentando. Oggi è un po’ diverso perché molti tendono a fare se stessi, che è anche una cosa plausibile ma non mi appartiene come storia personale. Penso che raccontare me stesso, cosa che faccio in questo spettacolo ma poco, l’ho sempre trovata una cosa poco interessante rispetto alla vastità delle problematiche mondiali”.

– Al di la del genere, si raccontano delle storie che si possono rispecchiare o meno nella realtà. Si può dire che in ogni lavoro, che sia teatrale, cinematografico o televisivo, si fa una sorta di viaggio in un vissuto, magari anche diverso dal proprio personale (sia per quanto riguarda gli attori che il pubblico)?

– “Il Teatro è bello proprio in questo modo, quando ci si va e si partecipa ad un viaggio in un certo modo che lo spettacolo invita a fare allo spettatore, perdersi nello spettacolo ed uscire con qualcosa in più. Quando il Teatro non raggiunge questo tipo di messa in scena io lo definisco quasi inutile nel senso che anche il miglior intrattenimento deve parlare di noi, deve farci scoprire qualcosa di più delle nostre radici. Sia il Teatro greco che contemporaneo è così, anche nella cosa più sciocca, se l’opera è fatta bene poi il pubblico ti segue e va a vedere lo spettacolo. A me mancava questa esperienza, quella del monologo più leggero perché le ho fatte tutte e volevo sperimentarm su questa cosa, quindi l’ho fatto molto con questo scopo, per entrare in questo genere di spettacoli e non per fare un po’ di serate. Per dire, all’inizio Cesare Cesaroni mi dice ‘Come giustifichi il fatto che il pubblico ha pagato il prezzo del biglietto per vedere me?’, quindi già da lì si parte con uno spiazzamento che la mia maschera diventa già da se un personaggio. Io penso che già da lì ci sia molta identificazione del pubblico nel personaggio di Cesare e poi c’è una sopresa che adesso non dico”.

 

Francesco Rapino

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