Atri. “Per definizione un ospedale è un edificio destinato all’assistenza sanitaria dei cittadini, quindi adeguatamente attrezzato per il ricovero, il mantenimento e le cure, sia cliniche sia chirurgiche, di ammalati e feriti. L’ospedale San Liberatore di Atri è al momento immobilizzato in una stasi surreale in cui un intero presidio, con il relativo personale in organico, è in “attività” soltanto per un numero di pazienti inferiore alla decina”, a dirlo il consigliere comunale del Movimento 5 Stelle Atri, Cinzia Di Luzio.
“Posto che restano tuttora sconosciute le reali motivazioni che hanno portato alla designazione del nostro ospedale come Covid Hospital con decisione che il nostro Sindaco dice di non aver potuto discutere mentre altri sindaci si vantano di aver scongiurato per i presidi di loro competenza lavorando ai tavoli della Asl; considerato che tutto il personale sanitario ha affrontato, in piena emergenza, un’ impresa titanica spendendosi al massimo per curare i pazienti Covid nonostante il presidio non potesse, in tutta franchezza, definirsi “adeguatamente attrezzato” in termini di uomini e mezzi; con l’inizio della Fase 2 sarebbe il caso che l’Amministrazione Regionale, Comunale e Sanitaria cessassero di utilizzare il San Liberatore alla stregua di un palcoscenico di propaganda politica e mediatica in cui qualsiasi evento serve a fare notizia e spettacolarizzazione e facessero un po’ di chiarezza”, tuona Di Luzio.
“Nei giorni scorsi presso l’ospedale di Penne si è provveduto a trasferire gli ultimi quattro pazienti Covid ancora in degenza per avviare la sanificazione e provvedere al ripristino dell’attività ordinaria. Di contro la complessità del progetto di riconversione del San Liberatore proposto dalla Direzione Sanitaria di Atri, approvato dall’Unità di Crisi, desta non poche perplessità ed interrogativi per i quali le migliaia di cittadini, atriani e non, utenti del nostro nosocomio, meriterebbero risposta. In primo luogo bisogna chiarire se sia veramente imprescindibile che il presidio ospedaliero di Atri continui a mantenere una destinazione Covid, considerando la presenza di una struttura appositamente dedicata a Teramo e quella, inaugurata e resa operativa nei giorni scorsi, a Pescara”.
E ancora: “E’ stata deliberata la chiusura della rianimazione Covid, reparto che, come purtroppo la pandemia ci ha insegnato nei mesi scorsi, risulta essere di fondamentale importanza nelle fasi acute di questa malattia. Se nel momento di grande emergenza sanitaria si è fatto quello che si è potuto con ciò che si aveva, ora, se proprio si rende necessaria la conservazione dell’area Covid, questa ha bisogno di reparti a norma e di personale specializzato. Bisognerebbe poi spiegare quali e quanti posti letto verranno persi rispetto allo status quo, e quanti anestesisti consentiranno di riprendere senza affanni l’attività chirurgica, vocazione prevalente del nostro ospedale. Sarebbe opportuno, inoltre, spiegare per quale motivo presso altri presidi la riconversione sia stata rapida e totale mentre nel nostro sia lenta e parziale e continui a tenere in “ostaggio” il San Liberatore, gli operatori sanitari e tutti i pazienti che attendono la ripresa dell’erogazione di prestazioni e servizi”.
“Qualunque sia la decisione che gli enti preposti intenderanno prendere riguardo al nostro presidio ospedaliero, ci auguriamo vivamente che si agisca conformemente alle normative e con l’unico e imprescindibile obiettivo di poter tornare ad offrire assistenza e servizi adeguati agli utenti tutti, perseguendo il più alto livello possibile di sicurezza anche e soprattutto per tutti gli operatori sanitari”.
Onorevole Valentina Corneli: sperpero di denaro pubblico. “In Abruzzo si pensa solo all’assegnazione di poltrone, ad aumentare lo stipendio ai fortunati amici della Giunta, e ad accaparrarsi fondi pubblici come se non ci fosse un domani, cioè senza che vi sia mai un progetto di sorta nell’interesse dei cittadini. L’ospedale San Liberatore di Atri, ad esempio, continua ad essere utilizzato solo per il ricovero di una manciata di pazienti Covid, nonostante a pochi chilometri ci sia il grande centro di riferimento di Pescara costato milioni. Questa situazione causa un enorme sperpero di denaro pubblico e lascia fermi un centinaio tra medici ed operatori che chiedono solo di poter tornare pienamente operativi, mentre i cittadini hanno tutto il diritto di essere curati senza essere costretti a rivolgersi a strutture private. Pertanto, se si dovesse decidere di mantenere un reparto Covid al San Liberatore (nonostante i rischi di tale commistione siano noti per quanto già accaduto al Mazzini di Teramo) occorrerà adeguare tutti i locali della struttura alle previsioni di legge, senza permettere che, in caso di una nuova ondata del virus, il personale e i pazienti si ritrovino nuovamente esposti a gravi rischi di contagio”.