Chieti. “Meglio tardi che mai! Apprezziamo la buona volontà manifestata dal presidente della Provincia, Enrico Di Giuseppantonio, e del suo…fidato (?) consigliere delegato alla Caccia, Giovanni Staniscia, di voler programmare una migliore vigilanza per contenere l’alta, numerosa, dannosa e nociva presenza di cinghiali che tanti danni, diretti ed indiretti, producono nel territorio. Non intendiamo animare dell’inutile polemica ma sollecitare soluzioni certe ed immediate. Non vogliamo più sottacere ritardi compiacenti e silenzi interessati. Il tempo del pagamento dei dazi elettorali è finito! Il consigliere delegato tiri fuori soluzioni, se ne ha, altrimenti tragga le conseguenze del suo operato che è assolutamente fallimentare”.
Così il capogruppo del Pd in Consiglio Provinciale a Chieti, Camillo D’Amico, sul diffuso problema del bracconaggio nel territorio provinciale teatino e sul modo nel quale lo sta affrontando l’amministrazione provinciale.
“I cittadini – prosegue D’Amico – sappiano che le uniche, iniziali e uniche attività rilevanti da lui promosse sono: congelare il Regolamento per il controllo ed il contenimento del cinghiale nel territorio redatto dall’amministrazione di centrosinistra presieduta dal senatore Tommaso Coletti con Antonio Tamburrino assessore delegato; ripristinare la possibilità dei componenti i corpi di Polizia (quella di Polizia Provinciale compresa) di poter liberamente cacciare con il pericolo che i controllori non controllino i controllati (bella etica politica!). Non vogliamo altre disgrazie ma una programmazione chiara e responsabile. Questo centrodestra, ha manifestatamente mostrato di non avere alcuna capacità risolutiva ma solo balbettanti paliativi. Ben vengano gli aiuti ed i suggerimenti delle associazioni venatorie così come quello degli Ambiti Territoriali di Caccia (ATC) ma il controllo, la pianificazione e la vigilanza sia in capo alla provincia e tornasse ad esercitare compiutamente le proprie funzioni. La commissione consiliare ed il consiglio provinciale sono gli organi deputati ad assumere le decisioni; non certo la consulta della caccia troppo spesso presa, con arroganza e presunzione dal consigliere delegato, a luogo improprio per ratificare le volontà di una parte ormai fortemente minoritaria del mondo venatorio”.