Recupero dei rapaci: lo studio di Granati sulla rivista scientifica

Grande notizia in campo di tutela e benessere degli animali selvatici. La prestigiosa rivista Scientifica Animals ha deciso di pubblicare nel numero speciale Human-wildlife conflict and interaction un articolo dedicato al recupero e allo sviluppo della forza muscolare di diverse specie di rapaci.

 

Lo studio pioneristico del falconiere Giovanni Granati (vicepresidente con delega Animali Selvatici di Altra Italia Ambiente) suo ideatore, era già stato presentato in via preliminare lo scorso anno al Symposium 2020 tenutosi a South Padre Island in Texas (NWLA National Wildlife Rehabilitation Association).

 

Lo studio, portato avanti con la collaborazione della Prof.ssa Pia Lucidi dell’Università degli Studi di Teramo, e della Dr.ssa Francesca Cichella, aveva già ricevuto il plauso di numerosi centri internazionali e di personaggi di spicco nel campo della riabilitazione animale, protagonisti che lavorano in Stati leader su questa delicata tematica come California, Messico, Emirati Arabi, Canada etc. Da qualche anno l’arte della falconeria classica, magistralmente applicata dai falconieri ai propri rapaci, non sembrava essere un percorso di élite per il recupero della fauna selvatica incidentata. Giovanni Granati, da sempre attento allo studio dei propri soggetti in quanto atleti, ha capito prima di molti altri che era necessario cambiare il paradigma uomo-rapace per permettere ai selvatici riabilitati di ritrovare forza e diffidenza nei confronti dell’uomo, anche nei confronti di coloro che li avevano nutriti e allenati durante il periodo di ricovero forzato. L’intuizione è stata premiata quando l’arte della falconeria classica è stata agganciata a moderne tecnologie quali droni, gps, monoala, integatori, action-camera e sovraccarichi, un vero e proprio breakthrough nella tematica della riabilitazione animale.

 

“Tramite l’utilizzo di falconeria e high-tech – spiega Granati – stiamo toccando i temi focali dello sviluppo sociale ecosostenibile rispettando le nostre tradizioni e cooperando attraverso la tecnologia ad aiutare le specie in via d’estinzione, tematiche queste fortemente appoggiate dalla stessa Comunità Europea”. Nel nostro studio abbiamo dimostrato che è possibile sfruttare le moderne tecnologie e le sue innovazioni per creare nuove professionalità. Queste tecniche serviranno nel presente e nel prossimo futuro ad assicurare la massima sopravvivenza agli animali riabilitati e successivamente reintrodotti in natura. Attualmente infatti le reintroduzioni a seguito di infortuni vengono realizzate senza tener conto se la muscolatura del rapace selvatico è adatta o meno a sopportare lo sforzo per la vita che un selvatico deve affrontare dopo una permanenza più o meno lunga nel centro di riabilitazione. Reintrodurre infatti un selvatico senza un adeguato preallenamento che lo renda nuovamente competitivo, porta con sé un elevato rischio di mortalità. Granati spiega: “è stato questo il motivo che mi ha spinto a utilizzare droni e monoala come finte prede.

 

In questo modo potevo simulare dinamiche di attacco sempre diverse per parametri di velocità, altitudine etc. In più, l’uso di integratori come supporto nutrizionale, di microcamere per controllare la dinamica del volo, di GPS per evitare di perdere il contatto dei rapaci allenati, tutto questo ha permesso di poter contare su un metodo unico e veramente innovativo”. Lo studio, finora autofinanziato, ha visto la collaborazione – oltre che dei succitati partecipanti – dei medici veterinari Giammaria Antonazzo (Italia), Vickie Joseph (California) della Dr.ssa Noemi Vasari (osteopata animale) e dell’ingegnere elettronico Simone Alessandroni, che hanno contribuito anche alla creazione di un manuale dedicato, in prossima Uscita in Canada (edizioni Hancock). Conclude Granati: “Ora che abbiamo ottenuto questa ulteriore approvazione anche da parte della comunità scientifica, mi auguro che qualcuno a livello regionale o nazionale possa aiutarci nel prosieguo di questa prestigiosa ricerca, che ci pone attualmente nella veste di precursori di un’innovazione unica nel suo genere.

 

Quello che ci serve in primis è un’intera e vasta area non urbanizzata dove poter attuare i nostri test; l’Abruzzo con i suoi numerosi parchi e lande desolate sarebbe uno scenario perfetto per l’attuazione dei nostri studi futuri. In alternativa e con mio grande dispiacere, dovremo optare per altre soluzioni come per esempio la California o gli Emirati Arabi.

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