Esistono leggi specifiche in merito ai ritardi di pagamento del datore di lavoro: come comportarsi in caso di pagamenti fuori data.
Essere lavoratori dipendenti offre diverse tutele, una tra queste riguarda la possibilità di contare su un giorno preciso per quanto concerne la retribuzione mensile. Tuttavia, per quanto sia tutto scritto su carta nel Contratto Collettivo Nazionale, qualcosa potrebbe sfuggire al lavoratore, condizione per cui delle situazioni inusuali potrebbero generare una certa ansia.
E cosa provoca più preoccupazione se non uno stipendio non pagato nei giorni prestabiliti, specialmente se questo atteggiamento si protrae nel tempo e con tempistiche piuttosto prolungate. Da qui nasce la necessità di avere risposte, magari leggendo il proprio contratto, oppure confrontandosi con il proprio datore di lavoro.
Partiamo da una premessa, non tutti i datori di lavoro seguono alla lettera quanto stabilito dal CCNL, ragion per cui la conoscenza della legge, seppur in maniera elementare, rimane l’unica arma per difendersi da ipotetici scenari. Detto ciò, è bene analizzare nel dettaglio ogni situazione e da lì agire in maniera differente ad essa.
Quanto può ritardare il pagamento dello stipendio?
In linea massima, lo stipendio deve essere accreditato in orario, con un ritardo massimo di 1 o 2 giorni. Se il tempo si protrae, è consigliabile aspettare prima di intraprendere azioni legali, poiché la legge concede un certo margine di tolleranza. Oltre ad un fattore legale è bene capire se il ritardo è dovuto ad un problema amministrativo, come possono essere le ferie del commercialista, un ritardo dei conteggi o semplicemente problemi con la banca.
Se il ritardo è minimo e in buona fede, non conviene attivare alcuna azione, anche perché questo non solo sarebbe scorretto eticamente parlando, ma tutto l’iter porterebbe ad un ritardo maggiore. Tuttavia, sempre tornando alla legge, se il ritardo supera i 10 giorni, si potrebbero considerare opzioni più incisive, ossia:
- Informare l’Ispettorato Territoriale del Lavoro per avviare una conciliazione con l’azienda.
- Avviare una vertenza sindacale se sei iscritto a un sindacato.
- Consultare un avvocato per avviare un’azione legale, come un ricorso per decreto ingiuntivo.
- Dimettersi per giusta causa se il ritardo supera i due mesi, con possibilità di richiedere la Naspi.
Anche in questi casi, va valutato il contesto. Per legge un ritardo di 1-3 giorni non giustifica dimissioni per giusta causa: solo quelli superiori a 2 mesi possono far scattare questa possibilità. Prima di azioni legali, è possibile inviare una diffida al datore di lavoro, tutelati dalla legge contro eventuali ritorsioni. Se il ritardo si protrae oltre i 10 giorni senza alcuna spiegazione legittima, vi è la possibilità di considerare un intervento più formale, come richiedere un decreto ingiuntivo tramite un avvocato.