L’insoddisfazione sul posto di lavoro è una condizione comune, ma non si tratta solo di una mancanza di retribuzione adeguata: i segnali che indicano che il luogo in cui lavori non è più il posto giusto in cui stare.
La crisi del mercato del lavoro è un dato oggettivo, in Italia è complesso trovare una mansione che sia al contempo aderente alle abilità sviluppate in anni di formazione e retribuita in modo adeguato alle competenze. Questa difficoltà spinge tantissime persone ad accettare lavori che non solo sono sottopagati, ma che sono anche poco stimolanti e mancano di una visione d’insieme e una direzione chiara di crescita.

In simili condizioni può essere normale che si sviluppi un’insoddisfazione diffusa e che i dipendenti si guardino intorno per comprendere se ci sia la possibilità reale di trovare qualcosa che sia migliore e più gratificante. Una lecita ambizione, dato che il lavoro non dev’essere esclusivamente fonte di sostentamento (anche se è la sua principale funzione) ma anche una via per realizzarsi e sentirsi appagati.
Erroneamente si crede che una buona retribuzione possa bastare a soddisfare il dipendente, a renderlo appagato e felice di ciò che svolge quotidianamente, ma la realtà è ben diversa. Sicuramente un buono stipendio può fungere da richiamo e può anche soddisfare le necessità in un primo momento, ma a lungo andare può tramutarsi in una prigione dorata.
Data la situazione generale avere un posto di lavoro fisso o che garantisce un’entrata costante viene percepito come un lusso, il che rende il lasciare un lavoro retribuito sopra la media quasi un vezzo, un capriccio da parte di qualcuno che non sarebbe in grado di apprezzare la “fortuna” avuta in un contesto iniquo e incapace di assicurare a tutti ciò che è dovuto.
E proprio da questa situazione che nasce un paradosso concettuale, laddove l’assunto “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” non viene più inteso come una garanzia che i cittadini possano trovare un lavoro per dare il proprio contributo al funzionamento della società in cui vivono, bensì come un obbligo da assolvere in qualsiasi modo e a qualsiasi condizione per non finire fagocitati dalla stessa.
Il 70% degli italiani è insoddisfatto del proprio lavoro
A dimostrazione del fatto che ciò che non rende soddisfacente il lavoro svolto non sia la mancanza di volontà – come spesso fatto passare anche in ambiti istituzionali da alcune figure politiche – e che non si tratti solamente di una questione di adeguamento degli stipendi al costo della vita, i recenti sondaggi sul grado di soddisfazione dei dipendenti italiani.

In questi emerge che il 70% dei dipendenti non si sente soddisfatto del proprio lavoro, ma quali sono le motivazioni che portano a questo malcontento diffuso. In base a quanto riferito dai dipendenti la causa principale è lo stress derivante soprattutto da mansioni poco appaganti, mancanza di riconoscimenti da parte dell’azienda e dei leader e un ambiente di lavoro poco stimolante.
A questi fattori si aggiunge spesso la mancanza di comunicazione interna che rende poco comprensibili quali siano effettivamente gli obiettivi aziendali sia per la crescita dell’azienda che di quella del singolo dipendente, il quale spesso si trova nella condizione di non vedere valorizzate le proprie capacità individuali.
Una comunicazione poco trasparente fa nascere timori e perplessità sulla stabilità dell’azienda e del proprio posto di lavoro, crea un clima interno di tensione (altro elemento che genera insoddisfazione nei dipendenti), sfavorisce la coesione e la produttività, generando danni anche ai profitti dell’attività stessa.

Per quanto dei sondaggi a campione non siano indicativi in senso assoluto della situazione generale, il fatto che l’insoddisfazione superi abbondantemente la metà degli intervistati indica che non si tratta di situazioni isolate, ma di una tendenza di cui bisogna tenere conto.
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Cosa bisogna valutare prima di cambiare lavoro
Chiunque si senta insoddisfatto del proprio lavoro è chiamato ad una riflessione attenta e ad una valutazione di pro e contro. Se il problema è di natura meramente economica bisogna valutare quali siano le retribuzioni offerte altrove per la stessa mansione. Qualora invece il problema sia una mancanza di gratificazione professionale o l’impossibilità di crescita all’interno dell’azienda bisogna comprendere come le competenze personali possano utilizzate e valorizzate altrove.

Ricominciare dal “basso” in un’altra azienda potrebbe richiedere anni prima di un passaggio di categoria e non garantirebbe comunque il salto. Meglio dunque cercare direttamente una mansione di livello superiore o valutare bene l’offerta lavorativa sulla base di quello che è il progetto della nuova azienda ed il ruolo che si potrebbe assumere nella realizzazione degli obiettivi prefissati.
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Bisogna infine valutare la propria disponibilità al sacrificio, al cambio di abitudini e allo spostamento. Non è detto infatti che per trovare qualcosa che realmente soddisfi non sia necessario cambiare città o addirittura uscire dai confini nazionali. Potrebbe anche essere necessario reinventarsi e mettersi a disposizione per imparare qualcosa di totalmente nuovo.
L’importante è non farsi pietrificare dalla paura e fossilizzarsi all’interno di un ambito lavorativo che non è gratificante. La soddisfazione sul lavoro migliora la qualità della vita, permette di diminuire lo stress, aumenta la produttività e la voglia di impegnarsi per la realizzazione di un progetto.