I giudici della Corte di Cassazione si sono espressi, attraverso un’ordinanza, sulla contestazione di bollette ritenute spropositate.
I rincari degli ultimi anni che hanno interessato le bollette per la fornitura dell’energia elettrica e del gas ha reso sicuramente più leggeri i portafogli degli italiani. Si stima che le bollette della luce siano salite, nel periodo tra il 2019 e il 2023, del 108%, mentre quelle del gas del circa 72%.
In alcuni casi si sono registrati importi addebitati in bolletta spropositati. È quanto accaduto ad un imprenditore che, dopo aver ricevuto una bolletta, il cui valore era ritenuto eccessivo, ha deciso di contestarla portando il caso in Tribunale. In merito si sono espressi i giudici della Corte di Cassazione con una sentenza emessa lo scorso 24 settembre che ha chiarito cosa accade in caso di contestazione
Bolletta della luce o del gas spropositata: la sentenza della Corte di Cassazione
Spetta al fornitore dell’energia elettrica dimostrare che il contatore funzioni correttamente, nel caso in cui un consumatore contesti una bolletta con un addebito eccessivo. Sarà, però, onere del titolare dell’utenza produrre prove a sostegno del fatto che si tratta di una cifra spropositata. A stabilirlo è stata la Corte di Cassazione con la sentenza numero 25542 pubblicata lo scorso 24 settembre, come anticipato dal sito Cassazione.net.
Gli Ermellini si sono espressi in merito al caso di un imprenditore che aveva ricevuto per la sua azienda una bolletta dell’energia elettrica con un valore 10 volte superiore ai normali consumi registrati. A quel punto, ha deciso di contestarla portando la questione in tribunale. In primo grado era stato stabilito un risarcimento del fornitore nei confronti del cliente che, intanto, aveva disdetto il contratto. In appello, la sentenza era stata ribaltata con il giudice che aveva dato ragione al fornitore e condannato l’imprenditore al pagamento dell’importo della bolletta.
Infine, la Suprema Corte ha stabilito che, in caso di contestazione, dovrà essere sempre il fornitore a dimostrare il corretto funzionamento del contatore ed i consumi effettivi del cliente. Quest’ultimo, invece, dovrà provare l’addebito eccessivo dei consumi, avvalendosi magari delle fatture precedenti e dimostrando che non sono a lui imputabili e che non vi sia stata negligenza. Se il giudice rileva che si tratti di un valore non in linea, potrà annullare la bolletta.
Per la Cassazione, i valori indicati sul contatore rappresentano una “presunzione semplice di veridicità”, ma sarà il fornitore a dover provare che la rilevazione sia corretta così come il funzionamento del dispositivo.