A Pineto una Villa Filiani gremita durante gli eventi mattutini e pomeridiani inseriti nella celebrazione della Giornata Internazionale della Donna.
Il momento inaugurale della Mostra storico documentaria “I Fiori del male. Donne in manicomio nel regima fascista”, ha visto anche una nutrita partecipazione di studenti, sia del corso Tecnologie del Legno della sede distaccata di Pineto dell’Istituto Zoli e sia della Scuola Media Giovanni XXIII, guidati dai curatori Costantino Di Sante e Annacarla Valeriano, nel percorso di esplorazione della mostra.
Nel pomeriggio si è tenuta, alla presenza dell’autrice, la presentazione del libro “Malacarne. Donne e manicomio nell’Italia fascista” di Annacarla Valeriano. Hanno portato un saluto il Sindaco Robert Verrocchio, l’Assessora Daniela Mariani e la Presidente della CPO Cristina Marcone. La Vice Presidente Anna D’Amario ha presentato il progetto in seno alla CPO che partirà nelle prossime settimane “Conosciamo chi lavora”. Ha moderato la giornalista e consigliera della CPO Edda Migliori.
All’interno della sala è stato mostrato un contributo video con la testimonianza di Maria Rodomonti, 102 anni, per decenni caposala al Manicomio di Teramo.
“Tutto ciò è un invito alla conoscenza – dichiara l’Assessora Daniela Mariani – perché solo attraverso la conoscenza si crea consapevolezza e spirito critico, condizioni fondamentali per costruite i due cardini della società, ossia la donna e l’uomo, quindi la cittadina ed il cittadino. Società in cui non abbiano mai più a ripetersi simili mostruosità.”
L’idea di celebrare la Festa dell’8 marzo, attraverso i due eventi proposti, come afferma la Presidente della CPO, “ è nata dalla volontà di rendere omaggio alle tante donne ingiustamente recluse in manicomio a partire dalla fine del 800’ , estromesse e marginalizzate dalla società dell’epoca. Durante il periodo fascista, si ampliarono i contorni che circoscrivevano i concetti di emarginazione e di devianza e i manicomi finirono con l’accentuare la loro dimensione di controllo e di repressione; tra le maglie delle istituzioni rimasero imbrigliate anche quelle donne che non seppero esprimere personalità adattate agli stereotipi culturali del regime o non assolsero completamente ai nuovi doveri imposti dal sistema socio-politico dell’epoca”.
“Ci è sembrato importante – spiegano i curatori della mostra – raccontare le storie di queste donne a partire dai loro volti, dalle loro espressioni, dai loro sguardi in cui sembrano quasi annullarsi le smemoratezze e le rimozioni che le hanno relegate in una dimensione di silenzio e oblio.”
“Alle immagini sono state affiancate le parole: quelle dei medici, che ne rappresentarono anomalie ed esuberanze, ma anche le parole lasciate dalle stesse protagoniste dell’esperienza di internamento nelle lettere che scrissero a casa e che, censurate, sono rimaste nelle cartelle cliniche. Il manicomio, in questo senso, è stato un osservatorio privilegiato dal quale partire per analizzare i modelli culturali, di matrice positivista, che hanno storicamente contribuito a costruire la devianza femminile e che durante il Ventennio furono ideologicamente piegati alle esigenze del regime. Il lavoro di ricerca e di valorizzazione condotto su questi materiali ha permesso così di recuperare una parte fondamentale della nostra memoria e di restituirla alla collettività”.
La mostra ha ottenuto il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero per i Beni e le attività culturali, della Regione Abruzzo.