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Pescara, Premio Borsellino: Pinuccio Fazio all’Alberghiero ‘De Cecco’

Pescara. “Non permettete mai alla mafia, alla criminalità organizzata di mettere le mani sulla vostra vita, non entrate mai in alcuna organizzazione delittuosa perché poi non c’è via d’uscita. Il mio Michele non c’entrava nulla, aveva 15 anni, stava tornando a casa per mangiare la pizza con la sua famiglia, lo hanno ammazzato in una guerra tra clan, ma la sua morte ci ha permesso di liberare Bari vecchia dalla morsa della mafia, ci ha consentito di aprire le finestre e sentire il profumo della libertà”.

Lo ha detto Pino Fazio, papà di Michele, il ragazzino ucciso per errore il 12 luglio 2001 a Bari, durante un regolamento di conti tra i clan degli Strisciuglio e dei Capriati, nel corso della seconda giornata dedicata al tema ‘Cittadinanza e Legalità’, promossa dall’Istituto Alberghiero Ipssar ‘De Cecco’ di Pescara, nell’ambito del XXV Premio Nazionale ‘Paolo Borsellino’.

“Le giornate del Premio Borsellino – ha detto la dirigente Alessandra Di Pietro – offrono ai nostri ragazzi la preziosa opportunità di ascoltare i testimoni della legalità, persone che hanno vissuto sulla propria pelle l’esperienza della criminalità organizzata, perdendo affetti, vivendo sotto scorta, rinunciando alla propria libertà personale per difendere i principi e i valori di una società sana. E la scuola deve essere alleata di quei testimoni da difendere in stretta collaborazione con le famiglie”.

“Sono originaria della città di Bari – ha detto il Presidente della Corte d’Appello de L’Aquila Fabrizia Francabandera – e, anche se vivo in Abruzzo da trent’anni, ricordo benissimo la tragedia del piccolo Michele Fazio, un sacrificio che però non è stato vano, perché quell’episodio ha travolto le coscienze delle persone perbene, la morte di Michele ha segnato un nuovo inizio per la città di Bari, ha portato alla luce ciò che non poteva essere nascosto. Pensiamo che uno degli assassini di Michele era addirittura minorenne e le loro vite si sono intrecciate in modo drammatico, ma attraverso le testimonianze del Premio Borsellino assumiamo la consapevolezza che le cose possono cambiare”.

Quindi, dopo la proiezione del video sulla teatralizzazione del dramma di Michele Fazio, la parola al papà Pinuccio che ha ripercorso la tragedia: “Oggi sono in pensione, ma il 12 luglio 2001 lavoravo a Milano per le Ferrovie dello Stato, sette giorni in Lombardia, due giorni si tornava a casa, a Bari vecchia, per stare con la famiglia, mia moglie Lella e quattro figli, ed erano i giorni dei baci, degli abbracci, delle chiacchierate. Quell’anno avevo le ferie, dal primo al 15 luglio, quando sarei rientrato a lavoro. La sera del 12 luglio avevo ordinato e ritirato le pizze con Lella e le due bambine, 13 e 7 anni; Michele aveva 15 anni e stava con un gruppo di amici sul lungomare, l’altro figlio con un altro gruppo. Michele lavorava dalle 7 alle 14, ogni giorno, in un bar del centro ed era felice perché portava il caffè alle Autorità militari e civili, in particolare al Prefetto che lo faceva sedere in poltrona perché gli era simpatico Michele, che rifiutava sempre le mance. Ci teneva Michele a quel lavoro che gli aveva fatto coltivare il sogno di diventare un giorno un Carabiniere, un poliziotto, un avvocato, un magistrato, comunque un uomo dello Stato, e infatti il pomeriggio studiava. Per il quindicesimo compleanno aveva voluto un telefonino, glielo avevo comprato a rate, pagando 10 euro al mese, e lui aveva l’abitudine la sera, quando arrivava sotto casa, invece di citofonare, telefonava per farsi aprire per far vedere il suo cellulare. La sera del 12 luglio sotto casa c’erano circa 60 persone del clan Strisciuglio che qualche giorno prima avevano fatto uno sgarro al clan rivale dei Capriati, che erano assetati di vendetta. Gli Strisciuglio festeggiavano; alle 22.40 Michele ha chiamato casa al telefono chiedendo di mettere nel forno la sua pizza perché stava rientrando, all’improvviso abbiamo sentito dei colpi di pistola, la piccola Rachele ha sbirciato dalla finestra e ha visto il fratello in una pozza di sangue, è morto il giorno dopo in rianimazione. Nel febbraio 2003 è arrivata l’archiviazione del caso Fazio perché non si trovavano gli assassini di Michele, ma con mia moglie abbiamo deciso di non mollare, ci siamo divisi i compiti, lei ha bussato alle porte dei clan per farsi dire la verità, io ho bussato alle porte di tutte le Istituzioni, a partire da Luigi Liguori, oggi questore a Pescara, all’epoca Capo della Squadra Mobile di Bari e nel maggio 2005 sono stati arrestati gli assassini di Michele. Quel giorno – ha ripercorso Pinuccio Fazio – io e Lella siamo tornati a casa e abbiamo spalancato le finestre per far entrare il fresco profumo della libertà, costringendo i clan a chiudere le loro finestre. Il processo di primo e secondo grado si è chiuso con la condanna a 18 anni di carcere agli autori dell’assassinio, nel frattempo abbiamo costituito un’associazione con il nome di Michele, abbiamo messo fine alla guerra tra clan mettendo insieme gli ex detenuti nella Cooperativa Vita Nuova coinvolgendo il parroco della Cattedrale, Don Nicola, e ci siamo incontrati con il minorenne che aveva assassinato Michele, nel frattempo cresciuto in carcere, che ci ha chiesto perdono e ha lasciato Bari per rifarsi una vita una volta uscito. Abbiamo perdonato lui, non chi ha armato le sue mani contro un innocente. Oggi Bari vecchia è diventato un quartiere turistico, vivibile, anche se c’è sempre chi pensa di poter comandare, e per questo bisogna tenere la guardia alta. Ai ragazzi dico non cedere mai, di non permettere mai alla mafia di mettere i propri tentacoli sulla loro vita. Michele non c’è più, niente ce lo restituirà mai. Quando è morto – ha ricordato ancora il papà Pinuccio – un giorno venne a casa il Prefetto, quello al quale portava il caffè ogni mattina, e ci lasciò tutte le mance che Michele non aveva mai accettato, 4milioni di lire in tutto in una busta di monete, con i quali ho comprato il loculo per Michele al cimitero di Bari”.

“La mafia è la mancanza di rispetto della legge – ha detto il questore Liguori ripercorrendo la sua esperienza in Puglia -, e in Abruzzo dobbiamo tenere sempre la guardia alta, senza mai sottovalutare certi fenomeni, come quelli che si verificano nel rione Rancitelli, piuttosto dobbiamo cogliere certi segnali con serietà”. Un appello raccolto dal vicepresidente Pettinari, che ha ribadito “il dovere delle Istituzioni di collaborare con le Forze dell’Ordine”. Don Antonio De Grandis ha ricordato come “anche per la chiesa il delitto di mafia è uno dei reati peggiori che prevede la scomunica, ovvero la fuoriuscita dalla chiesa”. L’evento si è chiuso con il docente e attore Edoardo Oliva che ha letto la lettera che l’assassino di Michele scrisse a Pinuccio e Lella Fazio per chiedere loro perdono.