“I peccati delle donne nel Medioevo” di Georges Duby

I_peccati_delle_donne_nel_MedioevoTitolo originale: Dames du XII siècle. III. Eve et les prêtres.

“Il peccato è la donna. E il sesso è il frutto proibito”.

“I peccati delle donne nel Medioevo” non è un romanzo fantasioso, nonostante si fatichi a credere che, seppur in un’altra epoca, vi sia stata una mentalità tanto chiusa e bigotta. Si tratta di un saggio scritto da uno storico francese esperto di storia medioevale.

 

Il volumetto si presenta suddiviso in quattro parti: la prima tratta nello specifico i peccati delle dame nel XII secolo; la seconda, “La caduta”, affronta il problema dell’origine dei mali del genere femminile, ossia il peccato di Eva; il terzo si intitola “Parlare con le donne”, e l’ultimo tratta brevemente della concezione medioevale dell’amore.

Nonostante si tratti di un’opera scientifica in quanto storiografica, il linguaggio utilizzato è chiaro e diretto, la trattazione sintetica ma esauriente (circa 140 pagine) e la lettura risulta estremamente intrigante. La curiosità è tanta ed è mossa dal pensiero ricorrente “ma come si poteva vivere in una simile epoca?” a cui l’autore ci induce, seppur implicitamente, facendoci porre  degli interrogativi di non facile risposta.

Le fonti su cui si basa Duby sono gli scritti di monaci e alti prelati, sempre e solo di sesso maschile. Ciò costituisce però un limite all’indagine storiografica in quanto ci fa conoscere solo attraverso fonti “indirette” come venivano trattate le donne, a cui purtroppo non era consentito l’accesso alla cultura nella stessa misura degli uomini, e che quindi non potevano esprimersi liberamente data al loro condizione di subalternità.

Ad ogni modo scopriamo che i tre peccati più imputati al gentil sesso sono l’aggressività, la lussuria e la stregoneria.
Ingannevoli e perfide per natura, tentatrici e dagli appetiti insaziabili, sono un pericolo da rifuggire. A tal proposito l’autore sintetizza in questo modo i testi di Stefano di Fougères, cappellano di Enrico Plantageneto:

“…scopre nella natura femminile tre difetti principali: secondo lui, esse sono in primo luogo portate a deviare il corso delle cose, dunque a opporsi alle intenzioni divine, servendosi di pratiche – per lo più la cucina- delle quali si tramandano il segreto. Tutte più o meno streghe, le dame si riuniscono per preparare misture sospette, a cominciare dal belletto, dagli unguenti, dalle paste depilatorie delle quali si servono per modificare il proprio aspetto fisico, per presentarsi, da imbroglione, davanti agli uomini: le puttane si fanno vergini e le brutte e le rugose si fanno belle”.

L’utilizzo dei cosmetici era infatti aspramente condannato dagli uomini di Chiesa del tempo in quanto superbo tentativo di interferire e modificare quanto creato da Dio e perciò annoverato tra i peccati veniali.
Tra i peccati mortali della peggior specie tipici del sesso femminile troviamo invece l’aborto, l’infanticidio, l’omicidio del marito tramite veleni e pozioni, il maleficio e, al primo posto, la lussuria e l’adulterio.

“Le dame sono ribelli, le dame sono perfide, vendicative e la loro prima vendetta è quella di prendersi un amante”.

Secondo i prelati medioevali, le donne sfuggivano agli ardori del marito e fuggivano invece con l’amante con cui sfogavano tutti i loro istinti carnali, andando a nascondersi persino nelle chiese per consumare gli atti impuri, purché vi fosse il favore delle tenebre; come le streghe infatti, esse amavano il buio. E quando ciò non era possibile, ricorrevano ad altri espedienti per saziare i loro appetiti, anche se ciò significava avere rapporti con altre donne. Ecco un esempio di interrogatorio che il confessore faceva alle povere penitenti:

“Hai fatto quel che certe donne hanno l’abitudine di fare, hai fabbricato una certa macchina della grandezza adatta a te, l’hai usata nello spazio del tuo sesso o in quello di una compagna e hai fornicato con altre donne cattive o altre con te, con questo strumento o altro?“

Il piacere era visto come un grave peccato e la regola imponeva di mantenersi fredde e frigide durante i rapporti con il marito, a cui ovviamente non potevano opporsi perché l’uomo doveva dar libero sfogo alle sue pulsioni.

“Il peccato è dunque una sovversione dell’ordine naturale, in cui la parte spirituale si abbassa fino a sottomettersi alla carnale”.

La natura tentatrice e malefica della donna era imputata al peccato originale commesso da Eva, e numerosi studiosi della Bibbia ritenevano addirittura che la colpa dei nostri progenitori fosse in realtà un peccato carnale. Eva tradita dalla sua stessa sensualità. Adamo tradito dalla donna debole e tentatrice.
Inoltre si dava fondamento scientifico alle folli tesi sostenute da quegli uomini di Chiesa la cui paura nei confronti della donna era ancor maggiore di quella di altri uomini per ovvi motivi:

“All’interno dell’anima, e nello stesso rapporto gerarchico, coesistono la pars animalis, attraverso la quale il corpo è comandato,  e la ratio, alla quale la parte animale è subordinata. La ratio è detta virilis: la ragione non è altro che il principio maschile; quanto al femminile, s’identifica con l’appetitus, il desiderio. La donna, come l’uomo è dotata di ragione; tuttavia in lei predomina la parte animale, quella che desidera; mentre nell’uomo prevale la parte razionale, dunque lo spirituale”.

Ecco che l’essenza della donna arriva ad essere identificata con la bestialità, il non controllo di sé, e necessita pertanto della guida e della presenza redentrice dell’uomo a cui deve sottomettersi vita natural durante.
E per finire, un piccolo accenno al capitolo dedicato al concetto di amore, in cui si distingue il sentimento puro e spirituale da quello sporco e carnale:

“Quando il desiderio si proiettava verso l’alto, verso la spiritualità, verso Dio, era chiamato caritas, quando si volgeva verso il basso, verso le cose terrene, era chiamato cupiditas”.

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