Pescara. Fieri e sorridenti i ragazzi dell’Alberghiero, che hanno avuto modo di conoscere e ascoltare il procuratore Alfredo Morvillo in occasione del Premio nazionale ‘Paolo Borsellino’, la rassegna d’incontri dedicati alla cultura della legalità giunta al secondo appuntamento.
Morvillo, procuratore capo della Repubblica di Termine Imerese, è cognato di Giovanni Falcone e ha parlato ai ragazzi dell’immortale esempio lasciato dai due magistrati:
“Il vissuto dei magistrati Falcone e Borsellino a Palermo, in anni difficili e diversi da quelli attuali, non ci è estraneo, perché dietro ci sono dinamiche che interessano tutto il territorio nazionale e la storia del nostro Paese. Il loro messaggio più autentico è che non ci fermiamo dinanzi a nulla: Borsellino sapeva che era arrivato a Palermo l’esplosivo per lui, ma ha continuato a lavorare a Palermo, non è scappato, sino all’ultimo giorno”.
Presenti in un’Aula magna gremita di studenti, la dirigente, Alessandra Di Pietro; Sabrina Saccomandi, dirigente dell’Ufficio Scolastico di Pescara e Chieti; Leo Nodari, fondatore del Premio; l’ispettore Carlo Di Michele, dell’Ufficio Scolastico regionale; il presidente del Premio, Gabriella Sperandio.
“Parlando dell’eredità lasciata da Falcone e Borsellino è importante capire cosa ciascuno di noi deve fare per dare un senso alla loro morte e al loro sacrificio”, ha detto il procuratore Morvillo. “Loro sono andati incontro a quel sacrificio consapevolmente, le condizioni in cui vivevano a Palermo era di forte contrasto alla criminalità, mafiosa e non. C’era un’atmosfera larvata di aderenza alle Organizzazioni criminali, e questo riguardava un po’ tutti, uomini delle professioni, della magistratura, delle Forze dell’Ordine, come dicono atti documentati, ci sono sentenze passate in giudicato su persone che costituivano la società di quegli anni. Il momento storico di Falcone e Borsellino era difficile, e dopo aver toccato il fondo, perché all’epoca non c’era nulla, non c’erano i processi né gli arresti, sono nati uomini diversi che hanno vissuto con un coinvolgimento nuovo, con una carica straordinaria il senso del rispetto e della legge”.
“Ma oltre a Falcone e Borsellino abbiamo avuto altri fulgidi esempi, come Ninì Cassarà, il Capo della Mobile Giuliani, il Capo della Catturandi Montana. E ovviamente la Mafia non accettava che nel clima soporifero generale ci fosse qualcuno che voleva imprimere un ritmo diverso. Le ‘eccezioni’ sono state subito individuate e si offrivano come bersaglio naturale, come il generale Dalla Chiesa, il politico Pio La Torre. Nella magistratura ci fu Rocco Chinnici che faceva il giudice istruttore, cuore pulsante delle attività investigative, e che rivoluzionò l’Ufficio, rendendolo efficiente. Non solo fece completare l’organico della struttura, ma fu lui a farsi assegnare il giudice Falcone, inizialmente a Palermo come giudice fallimentare”.
“Chinnici è stato il primo a parlare fuori dalle aule del Tribunale, ad andare nelle scuole, tra i ragazzi, è stato una figura fondamentale per la giustizia palermitana, e allora Falcone, Borsellino, Chinnici, non vanno ricordati solo perché uccisi dalla mafia, ma dobbiamo ricordare ciò che hanno fatto in vita. I processi che ancora oggi si celebrano sono il frutto del loro lavoro: è stato Falcone ad avere l’intuizione di ricorrere ai collaboratori di giustizia col famoso Buscetta, Falcone lo convinse a parlare per la prima volta e a rompere il muro dell’omertà. Senza quella intuizione forse ancora oggi saremmo al 1970”.
“Oggi dobbiamo studiare cosa hanno fatto queste persone e capire che hanno portato avanti i principi di legalità, di giustizia, di impegno con un lavoro instancabile. Purtroppo Falcone ha lavorato anche in un clima particolare, in cui non tutti sono stati pronti a schierarsi con lui, anzi qualcuno ha anche tentato di ostacolarlo. Come quando lo hanno convinto a candidarsi al Consiglio Superiore della Magistratura e poi non lo hanno fatto eleggere, o quando venne creata la Procura Antimafia e volevano affidarne il coordinamento al giudice calabrese Cordova che stava indagando sulla massoneria. Poi arrivò la strage di Capaci, la morte di Falcone, e lo stesso Cordova è stato abbandonato, ovvero lui era solo funzionale a contrastare Falcone”.
“Dopo il ’92 il mondo è cambiato, è stato un fiorire, anche a Palermo, di iniziative di educazione alla legalità, nelle scuole è stato fatto tantissimo, dopo il ’92 c’è stata una nuova qualificazione della lotta alla criminalità con un maggior coinvolgimento della società civile, ed era ovvio perché quello che è successo a Palermo in quegli anni è stato pazzesco. Hanno ucciso un Presidente di Regione, un Generale, dei giudici, un sacerdote, un bambino, era ovvio che la gente si ribellasse”.
“E ricordiamo che dietro quei fatti non ci sono dinamiche territoriali, ma dinamiche nazionali: dopo l’omicidio del Generale Dalla Chiesa sono spariti effetti personali dalla sua casa in Prefettura; dopo l’omicidio di Borsellino è sparita la sua borsa; dopo l’arresto di Riina non è stata perquisita la sua casa, anomalie che non riguardano solo Palermo o la Sicilia”.
Poi il procuratore Morvillo ha ricordato, con emozione, anche la figura della sorella, il magistrato Francesca Morvillo, moglie del giudice Falcone, uccisa con il marito sulla strada per Capaci.
“Nostro padre era severo, voleva che studiassimo, e mia sorella ha trascorso buona parte della sua vita a studiare, per poi reggere per più di 15 anni, da sola, il Tribunale dei Minori di Palermo, come unico Sostituto. Poi l’amore con Giovanni e la Corte d’Appello”.