Quando il conto non si divide, può davvero essere violenza economica? La decisione del governo non lascia dubbi
Una coppia seduta al ristorante, il cameriere che arriva con il conto e poi la domanda di rito: “Chi paga?”. Una situazione quotidiana che, apparentemente, sembra banale e lontana da temi delicati come la violenza domestica. Eppure, uno scenario che sta facendo discutere, sollevando dubbi e, a tratti, ironia.
Un ente governativo ha infatti incluso “non pagare nessuna spesa durante un appuntamento” come possibile forma di violenza economica, inserendola in un più ampio quadro dedicato alla sensibilizzazione su questo tema. La definizione, va chiarito, non si ferma alla semplice “tirchieria”: il nodo centrale è la coercizione finanziaria, quando una persona viene costretta unilateralmente a sostenere costi che, idealmente, andrebbero condivisi.
La distinzione tra un gesto sgradevole e un comportamento abusante è sottile, ma fondamentale. Le categorie delineate dall’ente spaziano dalla violenza fisica a quella sessuale, passando per l’abuso psicologico e, appunto, quello economico. Urla, pugni, rapporti imposti: elementi che non lasciano spazio a interpretazioni. Ma con l’arrivo della frase incriminata nel quadro della violenza economica, la discussione è inevitabilmente esplosa.
E se si pensa che sia una questione di genere, il quadro diventa ancora più complesso. È violenza per un uomo aspettarsi che sia sempre la donna a pagare? È violenza per una donna pretendere che sia l’uomo a farlo? La rete, come prevedibile, ha acceso il dibattito. “Quindi se lei dice ‘Sei l’uomo, paga tu’, è violenza domestica?”, “Per non sembrare abusante, mi conviene pagare sempre metà del conto”, “Ma allora quante donne stanno commettendo violenza economica senza saperlo?”.
Non pagare la cena è violenza
Un botta e risposta ironico, a volte provocatorio, ma che evidenzia un punto: la definizione è sfuggente e rischia di generare fraintendimenti. Il problema, infatti, non risiede nel gesto di non offrire la cena o un aperitivo, ma nella presenza di un atteggiamento coercitivo. Non si tratta di galateo o buone maniere, bensì di dinamiche di controllo che si insinuano nel rapporto di coppia.
Il Gender Equality Bureau giapponese, in risposta alle polemiche, ha chiarito: “Costringere l’altra persona a pagare, contro la sua volontà, è ciò che può essere considerato violenza economica”. Il rappresentante ha anche aggiunto che ogni situazione deve essere valutata “caso per caso” e che, in assenza di coercizione, il mancato pagamento non equivale affatto a un comportamento abusante.
Ma se da una parte le precisazioni sembrano tranquillizzare, dall’altra restano le perplessità. È davvero necessario introdurre in un dibattito così delicato un concetto che sfiora situazioni così quotidiane? Forse la confusione è il segnale che qualcosa debba essere rivisto, magari con una definizione meno ambigua.
La frase è presente sul sito ufficiale già dal 2018, ma è solo negli ultimi mesi che è esplosa come un caso mediatico, soprattutto sui social. Nel Paese del Sol Levante, infatti, il tema della parità di genere e delle dinamiche all’interno delle relazioni resta centrale e, a volte, fortemente polarizzante. Anche per una cena pagata o no.