Dal 41 bis alla libertà, il particolare percorso dei capi della mafia scarcerati per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare
Nelle ultime settimane diversi mafiosi, condannati al cosiddetto carcere duro, sono stati comunque scarcerati per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Tra questi, il caso più noto è quello di Giuseppe Corona, considerato il “re delle scommesse” all’Ippodromo. Nonostante una condanna a 15 anni e 2 mesi in appello, Corona è stato rilasciato dopo sei anni di detenzione al 41 bis, il massimo consentito in attesa della sentenza definitiva.
Il 41 bis è un regime carcerario particolare e più severo della norma, che per questo motivo viene anche chiamato “carcere duro”. Vi sono destinati gli autori dei reati ritenuti più gravi dal nostro ordinamento, soprattutto i reati legati alla criminalità organizzata. Non si tratta però di una punizione aggiuntiva, bensì di un sistema di precauzioni volto a limitare il prosieguo dell’attività criminale e tutelare la sicurezza degli altri detenuti e degli agenti di polizia penitenziaria.
Nato nel 1975 in via temporanea, il regime carcerario 41 bis fu poi esteso ai boss mafiosi nel 1992 dopo gli attentati che sconvolsero il paese di Falcone e Borsellino. Soltanto nel 2002, quando la norma è diventata definitiva, il regime è stato esteso anche ai reati di terrorismo. Ancora oggi, comunque, il carcere duro ha la specifica finalità di impedire che il detenuto possa ricevere informazioni dall’esterno, fattore estremamente rilevante per impedire le attività nelle organizzazioni. Un sistema che non è mai stato accolto in maniera del tutto positiva dalla Corte dei diritti umani di Strasburgo che, infatti, ha sanzionato più volte l’Italia, a causa dell’estrema durezza di questo sistema. Resta però un carcere duro che negli anni ha comunque portato dei risultati sul fronte della lotta alla mafia, ma che nelle ultime settimane ha visto più volte vedere scalfito il proprio operato e alcuni tra i boss più influenti delle cosche hanno visto aprirsi i cancelli del carcere nonostante fossero soggetti a questo regime carcerario.
L’ultimo di questi casi è quello che ha riguardato “il re delle scommesse”, al secolo Giuseppe Corona, condannato in appello a 15 anni e due mesi perchè accusato di riciclaggio e intestazione fittizia e sottoposto proprio per il suo importante ruolo ricoperto nella cosca, al 41 bis nel carcere Opera di Milano. Nella motivazione della sentenza si legge che, tra l’altro, avrebbe effettuato investimenti per le famiglie di Porta Nuova e di Resuttana, tra centri scommesse, compro oro e persino la vendita di preziosi al monte dei pegni. Ma da ieri virtualmente libero dopo aver varcato il cancello del carcere perchè scaduti i termini massimi di custodia cautelare e quindi la terza sezione della Corte d’Appello, da cui si attende il deposito delle motivazioni della sentenza, non poteva che accogliere la richiesta degli avvocati. Ora Corona attenderà a piede libero fino a conclusione del processo. Una situazione quindi paradossale perchè da una parte il cosiddetto carcere duro viene imposto ad alcune figure di spicco proprio per lasciarle isolate e non continuare a muovere i propri traffici, dall’altra la lunghezza dei processi in Italia fa si che possano invece ugualmente uscire in attesa della successiva udienza, continuando di fatto a operare come prima dell’arresto. La situazione del boss Corona non è purtroppo un caso isolato, anzi: pochi giorni fa si è stato registrato un episodio molto simile, con il ritorno in libertà dei dieci condannati ritenuti vicini al boss Matteo Messina Denaro, sempre per aver sfruttato la decorrenza dei termini, per colpa di un processo durato troppo.