Ultima notte di pesca per le imbarcazioni dello strascico nel tratto di mare Adriatico compreso tra San Benedetto del Tronto e Termoli, passando per i comparti di Giulianova, Pescara e Ortona.
I pescherecci sono rientrati in porto e vi resteranno sino al prossimo 13 settembre per il fermo biologico applicato anche quest’anno dal Ministero delle Politiche Agricole nell’ambito del programma di tutela e ripopolamento dei mari italiani. Le imprese che operano nel settore della pesca a strascico potranno riprendere il largo alla mezzanotte del 15 settembre.
Il pesce dell’Adriatico di fatto mancherà sino al prossimo 27 agosto quando scadrà il periodo di riposo obbligatorio che ha interessato altri due comparti: da Trieste ad Ancona e da Manfredonia a Bari dove il fermo è scattato lo scorso 29 luglio. Vero che mancherà il pesce dell’Adriatico, ma è altrettanto vero che per l’approvvigionamento i grandi mercati ittici e le piccole e medie rivendite si affideranno al prodotto proveniente dal mar Tirreno dove il fermo scatterà fino a Roma dal 9 settembre all’8 ottobre e da Civitavecchia a Imperia dal 16 settembre al 15 ottobre.
Per Sicilia e Sardegna sarà, invece, fissato sempre per un mese tra agosto e ottobre su indicazione delle Regioni. In un Paese come l’Italia che importa dall’estero 8 pesci su 10, nei territori interessati dal fermo biologico aumenta il rischio, secondo Impresapesca Coldiretti, di ritrovarsi nel piatto per grigliate e fritture, soprattutto al ristorante, prodotto straniero o congelato se non si tratta di quello fresco Made in Italy proveniente dalle altre zone dove non è in atto il fermo pesca, dagli allevamenti nazionali o dalla seppur limitata produzione locale dovuta alle barche delle piccola pesca che possono ugualmente operare.
Dunque fare molta attenzione e comunque fidarsi del proprio pescivendolo. A proposito di fermo biologico, a distanza di 33 anni dalla sua introduzione, per Impresapesca la misura che viene adottata è inadeguata. E a dirlo sono anche gli stessi pescatori.
Il provvedimento non risponde alle esigenze della sostenibilità delle principali specie ittiche della pesca nazionale, tanto che lo stato delle risorse nei 33 anni di fermo pesca è progressivamente peggiorato, come anche parallelamente lo stato economico delle imprese e dei redditi. Questo ha determinato nel periodo un crollo della produzione e la perdita di oltre 1/3 delle imprese e di 18.000 posti di lavoro.