C’è chi non li accetta a scuola, giustificandosi con qualche improbabile difficoltà nella loro gestione. E c’è, invece, chi con l’autismo ci convive quotidianamente, nelle mille difficoltà di ogni giorno, spesso senza il necessario aiuto delle istituzioni.
In attesa di celebrare il prossimo 2 aprile la giornata internazionale dell’autismo, a sei mesi dall’apertura del nuovo centro di Sant’Atto, si può provare a fare un primo bilancio di quanto la struttura stia facendo sotto la gestione della Fondazione Il Cireneo.
Nato come centro per adolescenti con problematiche afferenti all’ampio spettro delle caratterizzazioni dell’autismo (dai casi meno gravi, fino ad arrivare alla completa mancanza di autosufficienza), il centro ospita attualmente, nell’arco della giornata, una ventina di ragazzi che vanno dai 4 ai 22 anni. Ed è proprio questa una delle criticità riscontrate, in quanto non è possibile avere una giusta differenziazione per fasce di età, soprattutto nel pomeriggio, quando la frequenza è maggiore, visto che la maggior parte dei ragazzi la mattina frequenta la scuola, e le attività vengono svolte insieme.
Inoltre non è ancora stato istituito un servizio di trasporto, nonostante i genitori abbiano manifestato la volontà di compartecipare economicamente, per via di un inspiegabile cavillo burocratico tra Asl e Comune che da mesi ancora non si riesce a sciogliere.
E poi, ciò che viene a gran voce richiesto dalle famiglie, è anche una progettualità estiva, così come accadeva al centro di L’Aquila, frequentato fino alla scorsa estate dai ragazzi teramani, che possa consentire alle famiglie, lasciate altrimenti sole, di poter avere un aiuto concreto nel periodo di chiusura delle scuole.
Infine, ma non da ultimo, le preoccupazioni dei genitori si rivolgono soprattutto a cosa potrà accadere ai loro figli una volta cresciuti abbastanza da non poter frequentare più questo genere di centri, quando non ci saranno più mamma e papà a poter prendersi cura di persone così speciali. Per questo viene chiesto a gran voce di cominciare a pensare ad una specifica struttura “Dopo di noi”, un centro residenziale, che possa nascere in Regione in modo da consentire alle famiglie di poter guardare con più ottimismo al futuro dei loro figli.