Teramo, morte di Davide: “Voglio tornare a Rigopiano”

Un dolore lancinante. La morte di Davide De Carolis, teramano 40enne del soccorso alpino, ha lasciato Teramo sgomenta.

Un dolore che colpisce in primis sua moglie Teresa e la piccola Sole, sua figlia. Aveva un papà eroe, Sole, un papà impegnato tutti i giorni a salvare vite e che era stato tra coloro che erano riusciti ad estrarre vivo Giampaolo Matrone (più in basso il racconto di quei momenti).

Un eroe che sarebbe tornato a Rigopiano domani, come aveva confessato per messaggi a Paolo Setta, direttore della cooperativa Il Bosso.

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Quell’eroe, insieme ad altri come lui, aveva recuperato uno sciatore a Campo Felice. Poi il drammatico schianto. Il profilo Facebook di Davide è invaso da messaggi di cordoglio di parenti, amici, conoscenti ma anche di persone che non lo hanno mai visto. Ma che sono rimasti colpiti dalla scomparsa di un angelo, impegnato a salvare vite umane.

Perché Davide non lo ha fatto solo a Rigopiano, ma era riuscito a salvare vite anche dopo il terremoto che ha colpito Accumoli. Nelle tragedie c’è sempre stato per aiutare gli altri. Ora il destino, beffardo, si è preso gioco di lui. E di una bambina che aspettava il ritorno del suo eroe.

IL POST DELLA CUGINA

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IL RACCONTO DEL SALVATAGGIO DI MATRONE. Questo il racconto del salvataggio di uno dei superstiti di Rigopiano: “Arriviamo sul posto, è enorme, ci sono cumuli di neve e macerie ovunque – spiega un amico di Davide, soccorritore anche lui – Si intravedono le buche da dove sono stati estratti i primi superstiti, muoversi in quel caos richiede molta attenzione. Ci viene incontro Gianluca, medico decano della nostra stazione che è sul luogo ormai da troppe ore. Ci aggiorna sulla situazione e ci indica una zona di scavo piuttosto ampia e con già molte persone in cui è stata rilevata la presenza di almeno tre superstiti. Ce ne indica un’altra, scomoda e angusta e con poche persone, in cui la scientifica ha rilevato la presenza di più di un cellulare. Davide e Alessandro mi guardano e mi chiedono dove vogliamo operare, ennesima risposta scontata ma lo sguardo deciso e determinato dei due colleghi mi conferma di aver fatto la scelta giusta. Ho già vissuto con loro questa sensazione la notte del 24 agosto ad Accumoli, dopo il terremoto, tra i primissimi ad arrivare scelsi una casa tra le tante, forse la peggio messa, quella con più macerie e alla fine dopo più di cinque ore tirammo fuori Luciano, un simpatico sessantenne che era stato dato per morto vista la quantità di macerie che aveva creato il crollo della sua casa. Entriamo nella buca io e Davide e iniziamo a scavare aiutati da Fabio, un vigile del fuoco che pur senza guanti resterà con noi tutta la notte, Alessandro ed Enrico restano sul bordo e sposteranno tutto ciò che scaviamo. Rivivo per un attimo le ore del terremoto di Amatrice ma la situazione è completamente diversa, stiamo intervenendo su una valanga ma nella neve ci sono detriti, alberi, travi, tegole, mattoni, suppellettili e arredi. Dopo meno di un’ora pratichiamo un foro su quel che resta di un tetto e iniziamo a chiamare, ci risponde G. dicendoci che ci sente ma che siamo ancora lontani. Ancora una volta la scelta giusta, chi è sopra la buca chiede incredulo se davvero è vivo, incrocio lo sguardo di Valeria e vedo nei suoi occhi la preoccupazione di chi, per ruolo, è preposto a preservare la salute delle vittime anche in situazioni estreme, tutti ci rendiamo conto che da quel momento in poi la vita di G. dipende da noi. Nevica, a volte pioviggina, ore durante le quali scaviamo con attenzione una enorme quantità di materiale, il problema è individuare correttamente da dove percepiamo la sua voce ma finalmente G. ci comunica che vede una delle nostre luci, vuol dire che siamo vicini. Fabio, il Vigile che è con noi, nel muoversi calpesta alcune tegole e G. urla che ha sentito muoversi qualcosa, è quello che aspettavamo, la certezza che stavamo scavando nella giusta direzione. Rimuoviamo quella porzione di tetto e in mezzo a quel casino intravediamo un Moon Boot, lo tocco con cautela e sento che si muove, G. urla che gli sto toccando un piede, vedo la sua mano, mi allungo e gliela stringo, lui ricambia la stretta quasi a volermi rassicurare, sento nuovamente quel nodo alla gola. Le ore successive saranno un susseguirsi di decisioni e di operazioni delicatissime atte a permettere l’estricazione del sopravvissuto senza comprometterne ulteriormente lo stato di salute, finalmente alle sei, dopo oltre sette ore di lavoro frenetico, lo tiriamo fuori tra gli applausi e i complimenti di tutti gli astanti. Sapremo più tardi che non corre pericolo ed è ricoverato all’ospedale di Pescara. Nelle stesse ore vengono estratti altri tre sopravvissuti, tutti in buone condizioni. Si fa giorno e dopo un’oretta di riposo facciamo il punto della situazione e organizziamo il lavoro per le ore successive, qualcuno continuerà a scavare unendosi alle squadre arrivate al mattino, altri a sondare e altri si occuperanno delle messa in sicurezza del sito sul quale continua ad incombere un pericolo valanghe di grado 4 su 5. Scendiamo che è di nuovo buio, sono le venti e abbiamo tanta strada prima di tornare a casa. Io e Valeria rientriamo dopo oltre trenta ore, a letto con gli occhi chiusi ne ripercorro le immagini, le più forti restano sempre gli sguardi dei miei colleghi, la loro determinazione, la fiducia e la stima reciproca. Sono orgoglioso e onorato di far squadra con loro”.

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