Martinsicuro. Riti “voodoo” usati per condizionare psicologicamente ragazze nigeriane, reclutate nel paese d’origine, e poi avviate alla prostituzione in Italia. Era un’organizzazione molto collaudata, che si occupava di reclutare ragazze, le costringeva e prostituirsi in strada (dietro ricatti e angherie di vario genere), le taglieggiava per poi incassare in proventi che, attraverso un sistema di difficile tracciabilità, venivano rispediti in Africa.
Ventisei persone, soprattutto nigeriane, anche se nella rete sono finiti anche alcuni italiani ( tra i quali due tassisti di professione), sono state arrestate questa notte, dai carabinieri in esecuzione di un provvedimento cautelare emesso dal Gip del tribunale de L’Aquila (su richiesta della direzione distrettuale antimafia). Le persone arrestate devono rispondere, a vario titolo, dei reati di: associazione a delinquere finalizzata alla tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù, favoreggiamento all’immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione, riciclaggio e interruzione abusiva di gravidanza. La maggior parte degli arresti sono stati eseguiti dai carabinieri della compagnia di Alba Adriatica (ad Alba e a Martinsicuro), ma componenti dell’organizzazione erano residenti anche in altre province (Reggio Emilia, Ascoli Piceno, Bari e Foggia), mentre un altro indagato è stato localizzato in Austria. Oltre alle misure cautelari, il provvedimento del Gip ha disposto anche il sequestro di beni: un esercizio commerciale a Martinsicuro (gestito da nigeriani), alcuni appartamenti, delle auto e delle licenze commerciali, il tutto per un valore che supera 1 milione di euro. Tutta l’indagine, che per le sue ramificazioni ha richiesto un lavoro certosino, è partita nel 2008, quando una ragazza di 25 anni, nigeriana, denunciò, ai carabinieri di Martinsicuro, e fece arrestare tre connazionali per sfruttamento della prostituzione, riduzione in schiavitù, sequestro di persona e violenza sessuale. L’inchiesta, dalla procura di Teramo, fu trasferita per competenza alla procura distrettuale antimafia de L’Aquila. Dietro il singolo episodio denunciato dalla ragazza nigeriana, secondo quanto emerso dall’indagine, si annidava una vera e propria organizzazione transazionale, che aveva ramificazioni in Africa e in Italia. In Italia, l’organizzazione aveva almeno tre basi operative (due a Martinsicuro e una sulla bonifica del Tronto), che gestiva le ragazze, fatte arrivare in Italia attraverso una vera e propria opera di reclutamento, che si fondava su pressioni psicologiche (i riti voodoo) e la firma delle ragazze deportate in un vero e proprio contratto, con le quali si obbligavano a rimborsare ai loro capi il costi dei voli aerei per l’Italia. L’organizzazione scoperta dai carabinieri, si occupava di fornire alle giovani documenti falsi e seguendo diverse rotte aree, ogni volta diverse, anche per questioni economiche, arrivavano in Italia e poi finivano sul marciapiede. Qui iniziava la seconda fase della tratta, visto che le lucciole dovevano corrispondere, ai componenti della banda, il pagamento del vitto e dell’alloggio in appartamenti nei quali vivevano e poi dovevano anche pagare il “pizzo” per il tratto di marciapiede dove si prostituivano. Ciascuna ragazza, per affrancarsi, doveva versare all’organizzazione una cifra tra i 60 e i 65 mila euro. La gestione delle ragazze in Italia veniva effettuata da delle maitresse, mentre in carcere sono finiti anche due italiani, titolari di licenze per trasporto persone (Giovanni D’Eusebio di Monteprandone e Vicente Pucci originario di Teramo), che secondo l’indagine avevano il compiuto sia di vetturini che di sentinelle per controllare le lucciole. Tutte le prostitute, infatti, erano obbligate dalle maitresse a rivolgersi ai due tassisti, ai quali dovevano corrispondere 15 euro per ogni corsa. Provvedimenti sono stati adottati anche nei confronti di quattro foggiani (Antonio Laddaga, Anna Console, Tommaso Pisciola e Amedeo Prudente), che si sarebbero occupati sia di procurare falsi contratti di lavoro, che di organizzare matrimoni fittizi tra nigeriani e donne italiane. I proventi dell’attività venivano poi riversati in Nigeria, attraverso un money transfer informale, agganciati ad un negozio di Martinsicuro che è stato sequestrato, al pari di alcuni immobili dove vivevano le ragazze. Fondamentale, nella definizione dell’indagine, si è rivelata la collaborazione delle ragazze sfruttate, che una volta che si sono liberate da un certo condizionamento psicologico, sul quale faceva leva l’organizzazione, hanno poi raccontato ai carabinieri del Ros come si articolava la tratta.