Teramo. Ha suscitato numerose polemiche l’editoriale pubblicato qualche giorno fa sul quotidiano teramano La Città, dal titolo “Sindaco, uccida i cani”.
Nella lettera aperta, rivolta al sindaco di Teramo, il direttore Antonio D’Amore chiede di sopprimere i cani malati in fase terminale, per le cui cure il Comune spende ogni giorno una cifra secondo lui sproposita.
E non si è fatto attendere il disappunto della Lav e della lega nazionale per la difesa del cane di Teramo, che prendono subito le distanze dalle parole del direttore.
“Né il sindaco né il direttore in questione, né tantomeno le associazioni animaliste hanno qualifiche e competenze per decidere della vita o della morte di un cane” dice Eowyn Viera, responsabile della Lav di Teramo. “Gli unici che hanno competenze in materia sanitaria sono i veterinari, solo loro hanno il potere di decidere di intervenire senza sdociare in quello che si definisce accanimento terapeutico”.
“Vorrei ricordare al direttore” aggiunge Antonella Inicorbaf, volontaria Lav sez Teramo “che la legge 189/04 e più precisamente l’articolo 544-bis punisce con la reclusione chiunque maltratti o cagioni la morte di un animale, mi pare semplicemente ridicolo chiedere ad un sindaco di compiere un reato”.
Trentamila euro annui, a detta del direttore, vengono spesi per mantenere in vita cani malati in fase terminale.
“Siamo proprio curiosi di sapere che è questo misterioso consigliere che gli ha riferito queste cifre” dichiara Catia Durante, responsabile della Lega Nazionale per la Difesa del Cane della sezione di Teramo “Noi da anni gestiamo un canile e sinceramente queste cifre non stanno né in cielo né in terra”.
Le associazioni animaliste chiedono, quindi, di essere messe a conoscenza del dato che il direttore ha utilizzato, essendo un riferimento che non compare nel bilancio comunale.
“Non è auspicabile” conclude la nota “uccidere dei cani per ricavare soldi da utilizzare per l’assistenza ai disabili o per le famiglie, così come vorrebbe il direttore, per i quali esistono già dei fondi utilizzati. Non sono questi i metodi che una società civile utilizza per risolvere problemi di questa entità, né è tollerabile questo tipo di linguaggio da parte di un direttore di una testata”.
Marina Serra