Pescara. “Appare evidente che Massimo Ciarelli, esplodendo il colpo d’arma da fuoco all’indirizzo di Domenico Rigante, non poteva che rappresentarsi tutte le possibili conseguenze di tale gesto e dunque anche il decesso della parte offesa”. Con questo passaggio chiave, il Gup del tribunale di Pescara sottolinea l’intenzione di Massimo Ciarelli di uccidere Domenico Riganete.
Gianluca Sarandrea, giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Pescara, non ha dubbi circa l’omicidio dell’ultras biancazzurro Domenico Rigane: quel colpo di pistola esploso dal rom la sera del Primo maggio 2012 era mirato ad uccidere.
Nella motivazione della condanna a 30 anni di carcere, che riguarda anche gli imputati Luigi Ciarelli, Domenico Ciarelli, Angelo Ciarelli e Antonio Ciarelli, (questi condannati dal gup a 19 anni e 4 mesi) si legge: “L’esplosione di un colpo di pistola – prosegue il gup – nella zona corporea effettivamente attinta del Rigante, vista la traiettoria impressa al colpo in ragione della direzione dell’arma, non poteva che far apparire ipotizzabile con un giudizio di elevatissima probabilita’ la verificazione dell’evento letale andando certamente ad incidere su parti vitali della vittima”
“Particolare significativo e’ il fatto che Massimo Ciarelli, vero e proprio organizzatore della spedizione, fosse armato di una pistola, denotando dunque in modo evidente che le intenzioni non si limitavano ad un semplice pestaggio, avendo in animo di realizzare un evento di ben piu’ ampia rilevanza e portata”, aggiunge nella relazione Sarandrea, secondo cui è rilevante per l’omicidio anche la presenza dei cugini di Massimo Ciarelli.
“Deve dunque necessariamente tenersi in primaria considerazione la condotta svolta da Massimo Ciarelli, dovendosi sin d’ora attribuire agli altri imputati, un ruolo certamente meno rilevante”, si legge nella relazione, “con specifico riguardo alle concrete modalita’ esecutive dell’aggressione sfociata nell’uccisione di Rigante, ma”, precisa il Gup, “tuttavia del pari decisivo, in quanto solo grazie all’azione di supporto da loro prestata, e’ stato possibile per Massimo Ciarelli dare esecuzione al proposito criminoso predeterminato. “Cio’ comporta dunque che – prosegue il giudice – il ruolo assunto da Domenico, Angelo, Antonio e Luigi Ciarelli, seppure debba essere differenziato rispetto a quello di Massimo, non puo’ certamente qualificarsi come di minima importanza e a esso, nell’economia complessiva della vicenda e della gravita’ della stessa, non puo’ che attribuirsi un valore unitario, non ritenendo possano differenziarsi sul punto le singole condotte tenute dagli imputati in quanto finalisticamente orientate in termini complessivamente unitari verso l’obiettivo preso di mira dagli stessi”.
CIARELLI SPARO’ DA 70 CENTIMETRI
Nelle motivazioni il gup sottolinea che “Massimo Ciarelli, che aveva sempre tenuto sotto tiro dell’arma Rigante, si posizionava a una distanza di 70 centimetri da quest’ultimo, evidenziando in modo evidente le proprie intenzioni delle quali Rigante mostrava di non essersi avveduto, avendo infatti implorato di non sparare. Del tutto indifferente – prosegue il giudice – ma deciso a portare a termine il proprio atto ritorsivo, Ciarelli si era posizionato a una brevissima distanza dal corpo di Rigante (meno di 90 cm.) e aveva puntato l’arma sulla zona sopra glutea di Rigante e aveva esploso un colpo che, per la postura, immobile della vittima attraversava da destra a sinistra tutto l’addome provocandone la morte”. Inoltre il gup evidenzia che “il ruolo centrale nello svolgimento dei fatti debba senz’altro essere riconosciuto a Massimo Ciarelli il quale va individuato come il soggetto direttamente interessato alla ritorsione da realizzare per l’affronto subito la sera precedente, ed effettivo organizzatore della spedizione che ha coinvolto gli altri imputati”.