Pescara. Soccorsi caotici, interventi confusi, assistenza inefficace: questo il pesante giudizio dei periti incaricati dal giudice per le indagini preliminari sulla morte del calciatore del Livorno Piermario Morosini, avvenuta sul campo dello stadio Adriatico. Per i periti il defibrillatore doveva essere usato.
Se defibrillato, avrebbe avuto fino al 70 per cento di probabilità di sopravvivere. Nuova stangata contro i medici intervenuti in soccorso del calciatore del Livorno Piermario Morosini, colto da improvviso malore sul campo dello stadio Adriatico e morto lo stesso 14 aprile 2012 nel corso della partita Pescara-Livorno di serie B. E’ quanto si evince dalla perizia redatta da Vittorio Fineschi, Francesco Della Corte e Riccardo Cappato, i tre consulenti nominati dal gip del tribunale di Pescara Maria Michela Di Fine incaricati nel corso dell’incidente probatorio tenuto il 9 novembre scorso per fare luce sulla morte del calciatore 26enne.
“La causa della morte, nel caso di specie, è individuabile nella certezza che Morosini fosse affetto da cardiomiopatia aritmogena con interessamento prevalente del ventricolo sinistro; pertanto, il decesso di Piermario Morosini – recita la perizia – e’ inquadrabile come una morte improvvisa cardiaca aritmica, secondaria alla cardiomiopatia aritmogena da cui era affetto, precipitata dallo sforzo fisico intenso. In merito alla incongrua, caotica assistenza sanitaria fornita al momento della caduta a terra del Morosini, nel campo di gioco del Pescara calcio, possiamo concludere che vi sono comportamenti sanitari che, a nostro avviso, hanno rilevanza causale nel determinismo dell’exitus dell’atleta”. Per la vicenda sono indagati il medico sociale del Livorno Manlio Porcellini, quello del Pescara Ernesto Sabatini, il medico del 118 in servizio quel giorno allo stadio, Vito Molfese, e il cardiologo Leonardo Paloscia, direttore dell’Unita’ Coronarica e Cardiologia , presente allo stadio come tifoso e intervenuti in campo per i soccorsi, poi proseguiti in ambulanza e in ospedale.
“Tutti i membri della equipe medica – scrivono i 3 periti – hanno omesso di impiegare il defibrillatore semi – automatico esterno, già disponibile a lato della vittima pochi secondi dopo il collasso di Morosini (dopo circa 25 secondi). Ciascuno dei medici intervenuti è chiamato a detenere , nel proprio patrimonio di conoscenza professionale, il valore insostituibile del defibrillatore semi-automatico nella diagnosi del ritmo sottostante e, in caso di fibrillazione ventricolare, il valore cruciale nell’influenzare le chance di sopravvivenza della vittima di collasso”. I periti prendono in esame i singoli comportamenti “e la valenza causale dell’inefficace assistenza fornita, in termini di rilevanza causale”. Per quanto riguarda il medico sociale del Pescara Ernesto Sabatini i tre consulenti del Gip evidenziano che “in qualità di responsabile del soccorso nel campo della squadra ospitante, era chiamato a conoscere la disponibilità della strumentazione di soccorso, la sua funzionalità e la modalità di impiego. Si intende in particolare, che la disponibilità del defibrillatore semi-automatico esterno sia stata responsabilità della squadra ospitante. La assoluta incardinata attività posta in essere da tale sanitario, comunque, dati i tempi di intervento (è accanto all’atleta in meno di un secondo), riveste sicura dignità causale nel concretizzarsi dell’exitus di Morosini”. Relativamente al medico sociale del Livorno Manlio Porcellini “sono riconosciute differenti incongruenze comportamentali, per il ruolo di non ospitante rispetto al medico del Pescara. Tuttavia anche egli avrebbe dovuto ricercare il defibrillatore semi-automatico esterno e, una volta identificatolo, saperlo impiegare immediatamente per gli scopi sopracitati, sfruttando così l’incomparabile opportunità di intervenire precocemente mediante defibrillazione esterna in un momento in cui la probabilità di pieno recupero del circolo cardiovascolare è massima (è il primo sanitario giunto nell’assistenza a Morosini). Tale omissione diagnostica – terapeutica, pertanto, riveste ruolo causale nel determinismo dell’exitus di Morosini”. Per Fineschi, Della Corte e Cappato il medico responsabile del 118 Vito Molfese “ha rivestito il ruolo più delicato ed a lui sono addebitabili i maggiori profili di censurabilità comportamentale. Infatti”, scrivono ancora i periti, “pur intervenendo in un momento successivo rispetto ai primi due medici, si deve a lui riconoscere, tuttavia, il ruolo di leader che egli avrebbe dovuto assumere, procedendo immediatamente alla ricostruzione degli atti di soccorso praticati dai colleghi, immediatamente riconoscendo l’assenza di impiego del defibrillatore ed operandone l’impiego ad un tempo in cui una defibrillazione esterna si sarebbe associata ad una probabilità di sopravvivenza ancora piuttosto elevata (circa 60 – 70 per cento)”. Per quanto riguarda il professor Leonardo Paloscia, intervenuto volontariamente per prestare soccorso al giocatore, i periti evidenziano che “non è parte integrante dell’equipe di soccorso, ma anch’egli omette di richiedere, e successivamente di impiegare, il defibrillatore. A nostro avviso”, proseguono i 3 consulenti incaricati, “nonostante tale censura comportamentale, difetta la possibilità, nel caso di tale incongrua assistenza sanitaria in emergenza, di dare consistenza causale tra il decesso di Morosini e tali comportamenti medici. La tempistica d’intervento, le modalità di svolgimento della prestazione fornita dal dottor Paloscia ed il suo ruolo nella vicenda, fanno concludere che solo residue chance di sopravvivenza erano ormai ipotizzabili nel Morosini al momento dell’intervento di questo medico (considerando che l’atleta giunge in ospedale con un tracciato ancora non asistolico), per cui nessun rilievo causale è da assegnare all’erroneo comportamento di tale medico seguendo un ragionamento controfattuale fondato su alti significativi coefficienti probabilistici quali,in questo ambito penalistico, richiede la dimostrazione del nesso causale”.